Inzaghi: «Tsunami alle Maldive? Un’esperienza che mi ha segnato. Ma siamo stati fortunati»

Il tecnico del Palermo si apre a 360 gradi: il disastro vissuto in vacanza, il peso di allenare il Milan, l’addio al calcio giocato e la sua rinascita in panchina.
Durante l’ultima puntata di “Torretta Café”, Filippo Inzaghi ha condiviso un racconto inedito e profondo, toccando momenti personali e professionali che ne hanno segnato il percorso. Tra questi, un episodio drammatico: lo tsunami vissuto alle Maldive.
«Complicata da spiegare, perché se penso a quello che è successo noi siamo stati anche fortunati. A un certo punto l’acqua si è ritirata e ha incominciato a salire fino a raggiungere il livello del ginocchio. Io ero andato su un tetto chiaramente perché nessuno capiva quello che stava succedendo e poi la mia camera era inagibile e abbiamo dormito qualche giorno in una palestra allestita. Non riuscivamo a comunicare con l’Italia, c’era preoccupazione, non si capiva quello che stava succedendo. Non arrivava più il mangiare però noi devo dire siamo stati fortunati poi dopo qualche giorno sono riuscito a rientrare in Italia, però è un’esperienza che comunque mi ha segnato, purtroppo quello che è successo è stato veramente un disastro».
Un ricordo indelebile, come lo è stato anche il passaggio dalla carriera di calciatore a quella di allenatore. In particolare, l’esperienza vissuta sulla panchina del Milan, club con cui ha scritto pagine indimenticabili da giocatore:
«So quello che i milanisti provano per me, mi sentivo molto responsabile. Anche nel mio libro racconto proprio questo perché a volte da fuori la gente ci vede sempre come supereroi però anche noi abbiamo le nostre debolezze, i nostri problemi. Sicuramente passiamo momenti difficili per cui ho voluto raccontare quello che è successo anche a me. Poi grazie all’aiuto dei miei genitori e al fatto che sono tornato presto in panchina poi sono stato bene e sono ripartito e non ho più avuto problemi. L’importante è l’amore che ti circonda e cercare subito di reagire e soprattutto fare quello che si ama. Perché poi ho allenato il Venezia e sono tornato a essere quello che sono sempre stato».
Il racconto si sposta poi sull’ultima, simbolica partita giocata col Milan:
«Se penso oggi a come ho fatto a smettere non riesco ancora a capirlo per l’amore che provavo per questo sport, per l’amore che ho, per tutte le emozioni che mi aveva dato. Erano qualcosa di incredibile. Devo dire che la mia fortuna è stata che durante l’ultima partita a 39 anni ho fatto gol sotto la curva all’ultimo tiro… sembrava un po’ un segno del destino. Il Milan mi offriva la possibilità di poter incominciare negli allievi ad allenare. Mio fratello allenava già gli allievi della Lazio e lo vedevo felice. Ad agosto ho preso questa decisione. Oggi ringrazio il destino di avermi fatto scegliere così perché miglior ricordo non potevo lasciare. Giocare con un’altra maglia dopo tutto quello che ho fatto col Milan non avrebbe avuto senso. Ho incominciato a fare quello che poi sarebbe stata la mia vita per cui è stato molto importante quella decisione».
Un addio scritto nel dettaglio, anche nei secondi finali:
«Era incredibile perché l’ultima partita era la numero 300 nel Milan e feci il 126esimo gol all’ultimo tiro, però in quel momento non pensavo ancora di aver smesso. Sono sincero, perché altrimenti non so come avrei potuto vivere quel momento. Sarebbe stato troppo difficile. Sapevo che era finita col Milan, ma speravo ancora di giocare perché mi sentivo bene, perché segnavo, sicuramente avrei fatto ancora qualche gol, però avevo ottenuto tutto quello che potevo ottenere e ripensandoci adesso, il destino mi ha fatto prendere la strada giusta».