Giorgio Perinetti: «Mia figlia Emanuela è morta di anoressia, non ho capito il suo dolore»

Aveva solo 33 anni ed era una delle figure emergenti del marketing sportivo. Progetti con grandi marchi e campioni, collaborazioni con David Trezeguet, Fabio Capello, Paulo Dybala. Emanuela Perinetti era brillante, determinata, ammirata nel mondo del calcio, ma dietro il successo nascondeva un dolore profondo. È morta il 29 novembre 2023 a Milano, sconfitta dall’anoressia.

A raccontare la sua storia, in un’intervista al Corriere della Sera, è suo padre Giorgio Perinetti, storico dirigente del calcio italiano, oggi all’Athletic Club Palermo e già direttore sportivo di Juventus, Roma e Napoli. «Non ho visto arrivare la sua caduta, non ho capito il suo dolore – dice –. Di notte mi chiedo ancora dove ho sbagliato».

Nel libro Quello che non ho visto arrivare (Cairo Editore), scritto insieme al giornalista del Corriere della Sera Michele Pennetti, Perinetti ripercorre la vita e il mistero della figlia: una giovane donna piena di talento e ambizione, che però non è riuscito a salvare.

«Era Ferragosto – racconta Perinetti – pranzammo a Mergellina. Era magrissima, ma diceva di essere malata di cancro e in cura con la radioterapia. Mi spiegò che si sarebbe operata a Montecarlo, ma poi scoprii che era a un evento con il principe Alberto e Trezeguet. Lì capii che qualcosa non tornava». Indagando, l’ex dirigente scoprì che Emanuela non era malata di tumore, ma di anoressia: «Il cancro era una copertura per nascondere la verità. Negava tutto, mi diceva che era sotto controllo. Poi ho capito che la negazione è una difesa tipica di chi soffre di questa malattia».

Come ricorda Candida Morvillo sul Corriere della Sera, Perinetti descrive la figlia come «una ragazza forte, elegante, stakanovista», che dopo la laurea aveva lavorato in Ernst & Young prima di fondare una propria agenzia di marketing sportivo. Ma dopo la morte della madre, nel 2015, Emanuela aveva perso un punto di riferimento. «Io c’ero, ma una madre con le figlie ha un legame diverso – spiega –. Lei si mostrava indipendente, ma stava chiedendo aiuto. Non l’ho capito».

Quando scoprì la verità, cercò di farla ricoverare al San Raffaele di Milano, ma la ragazza rifiutò. «Diceva che aveva da fare. Non potevo costringerla, e mi sono sentito impotente. È devastante sapere che tua figlia sta morendo e non puoi fare nulla». Emanuela tentò un ultimo percorso di cura all’Aba, un centro specializzato in disturbi alimentari, ma era ormai troppo tardi.

Con voce rotta, Perinetti ricorda gli ultimi giorni: «Camminava senza forze per bruciare calorie, non riusciva più a salire le scale. La portai in braccio. Poi cadde a casa e non si rialzò più. In ospedale ricominciò a mangiare un po’, ma il corpo era troppo debilitato. Mi guardava e provava a vivere, ma non ce la fece».

Come riporta ancora Candida Morvillo sul Corriere della Sera, l’ex dirigente ricorda l’ultimo messaggio di Emanuela: «Mi disse che aveva sognato sua madre, che le aveva detto di aspettarla. Ho capito che l’avevo persa».

Oggi, nel suo dolore, Perinetti invita i genitori a «cogliere i segnali in tempo»: «Non serve autorità, serve tenerezza. Devi capire il disagio e rispondere alla richiesta d’amore. Io non l’ho fatto abbastanza».