Palermo e il mago di Zamparini: «Ci fece esorcizzare lo spogliatoio»

La tavola è apparecchiata per sei. Ma un posto, da trent’anni, resta vuoto: quello del padre di Arturo Di Napoli, scomparso prima di vederlo realizzare il suo sogno. «Il mio rimpianto non è la Nazionale, né l’Inter, dove avrei potuto fare di più. È che mio padre, napoletano emigrato a Rozzano, non mi abbia visto esordire in Serie A. Mi portava allo stadio con il bandierone. Mi manca ogni giorno».
Oggi Arturo ha 52 anni e si definisce un uomo in pace con se stesso. Dopo l’assoluzione nel 2023 dal caso calcioscommesse che lo aveva travolto, ha cambiato vita: «Sono stato moralmente stuprato», racconta alla Gazzetta dello Sport.
Il crollo: «Mi hanno tolto il sogno»
«Quando il magistrato mi disse: “Mi dispiace per la tua carriera”, è stato un colpo al cuore. Ero primo in Serie D con il Messina. Poi ho allenato il Cologno, senza stipendio, pescando giocatori nei bar. Volevo allenare tra i pro’, ma me l’hanno strappato via».
Oggi, Arturo non allena più: «Ho aperto un’agenzia di scouting, una immobiliare, e aiuto mia moglie in campagna elettorale. Con Belinda sto da sette anni. Le dico sempre che è stato mio padre a metterla sul mio cammino».
Dall’Inter a Napoli: «Non volevo fare la riserva di Ronaldo»
«Giocavo nell’AC Rozzano, arrivai all’Inter per un milione di lire. Mazzola mi dava i calci nel sedere: “Hai le qualità per restare”, diceva. Ma ero ribelle. E non volevo stare in panchina dietro a Ronaldo».
A Napoli l’esordio nel 1995 contro il Bari. «Fu magia. Ma dopo la morte di mio padre persi l’equilibrio. A casa, quando volevo uscire, lui chiudeva la porta e nascondeva la chiave. Mia madre ogni tanto gliela rubava…».
La Nazionale mancata: «Ero una testa calda»
«Gigi Simoni mi diceva: “Eri una testa di c…”. È vero. Se fossi stato meno solista, forse avrei giocato in azzurro. Ma davanti c’erano Del Piero, Totti, Inzaghi, Vieri… Oggi sarei titolare fisso. Sono nato nell’epoca sbagliata».
Palermo e il mago di Zamparini: «Ci fece esorcizzare lo spogliatoio»
A Palermo, tra il 2000 e il 2003, Di Napoli ha vissuto un’altra pagina speciale:
«Zamparini è stato il presidente che ricordo con più affetto. Una volta chiamò un mago per scacciare il malocchio. Avevamo paura di cosa potesse dire dopo una sconfitta. “Fate quello che vi dico o vi caccio tutti”, ripeteva».
«Segnai due gol al Lecce e avevo già firmato con l’Atalanta. Lui mi convocò: “Posso mai venderti dopo una doppietta? Sarei un matto”. E rimasi».
Messina e Salerno nel cuore
Messina resta la piazza della vita: «Nel 2003 tornammo in A dopo 40 anni. Franza mi regalò un’Audi RS6 con un biglietto: “Sei un figlio di p…”. A settembre ero ancora senza squadra, rifiutai il Galatasaray e firmai con una clausola: promozione = rinnovo e macchina. E così fu».
Salerno, invece, è amore puro: «All’Arechi torno ancora oggi. Non riesco a pagare un caffè. È una piazza che ti resta dentro».
Duelli, rinunce e soprannomi
Difensori più duri? «Cannavaro e Vierchowod. Quando lo affrontavo, mi facevo il segno della croce».
Bruno Giordano? «Litigammo, ma gli voglio bene. Mi disse: “Eri una testa di c…, ma tanto forte”».
Il soprannome “Re Artù”? «Nacque al San Paolo. Conservo ancora la foto dello striscione: “Arturo re di Napoli”».
Un volo mai preso
«Il mio unico rimpianto vero da calciatore? Non aver preso l’aereo per Glasgow. I Rangers mi offrirono una cifra folle. Ma dissi di no».