Ex rosa, Bovo: «Segreto del mio Palermo era l’unione. Quella finale di Coppa Italia non giocata…»

Il pomeriggio soleggiato di febbraio a Palermo fa da cornice all’intervista realizzata da Alessio Alaimo con Cesare Bovo, ex difensore di club come Roma, Palermo e Torino, presso il Circolo Albaria di Mondello per TuttoMercatoWeb.com. Bovo riflette sulla sua carriera, con particolare attenzione ai suoi inizi nel settore giovanile della Roma, il suo club del cuore, fino ai recenti ruoli da allenatore. Descrive la sua esperienza da giocatore, i suoi primi passi, le influenze degli allenatori che ha avuto e gli infortuni che hanno segnato il suo percorso professionale. La conversazione tocca anche momenti salienti come l’avventura a Palermo sotto la guida di Guidolin e la delusione per non aver giocato la finale di Coppa Italia. Bovo parla anche della sua vita privata, del suo attaccamento a Palermo, dove vive e dove ha trovato una nuova direzione lavorativa nello staff tecnico del club. Conclude con i suoi pensieri sul futuro, mostrando interesse a continuare la sua carriera in panchina e riflettendo sulla sua vita fuori dal campo, dedicata principalmente a essere padre.

Ecco qualche estratto:

Nel 2006 va al Palermo. Era il Palermo di Guidolin, che ha sfiorato la Champions League.
«Arrivavo dalla Roma, preso alle buste. Arrivai con tante aspettative perché avevo terminato il ciclo con l’Under 21 e venivo già da esperienze in Serie A. Il presidente Zamparini in quegli anni è sempre stato calcisticamente innamorato di me. Ma il primo giorno di ritiro mi infortunai e fui costretto ad operarmi. Stetti fuori due mesi e mezzo. Ebbi una ricaduta, l’operazione non era stata fatta nel migliore dei modi. Ma anche quando sono tornato a disposizione Guidolin non mi ha mai considerato».

Da lì il trasferimento al Torino.
«Ho giocato sette partite, facendo bene. Poi la terza ricaduta. Dunque un nuovo intervento. Poi una volta andato al Genoa non ho più avuto problemi al piede».

Al Torino poi scriverà pagine importanti. Come al Palermo di Delio Rossi, il periodo migliore della sua carriera.
«Le stagioni migliori, si. Avevamo un grande gruppo, un’ottima squadra. Tre stagioni stupende, in crescendo. Grazie anche a quei quattro-cinque elementi che alzavano il livello. Ma il segreto di quel Palermo, oltre al talento, era l’unione».

Quella finale di Coppa Italia a Roma…
«Dopo tre stagioni in cui sono stato un riferimento per la squadra, per il reparto difensivo, non averla giocata è un grosso rimpianto. Ancora oggi mi mangio le mani, purtroppo contro il Milan avevo commesso un’ingenuità dettata dalla troppa sicurezza perché mi sentivo bene, stavo bene, Non volevo far niente di che, avevo capito che Pato avrebbe stoppato, avevo capito il passaggio di Pirlo, avevo già immaginato che il brasiliano stoppasse la palla con il corpo per portarsela per aprirsi il campo. Avevo pensato: gli rubo la palla, con la gamba gliela alzo e vado via, lui invece si è allungato e secondo me se l’è portata avanti anche con la mano, però si è abbassato e io col piede ho fatto un fallo che bastava stare fermi, accompagnarlo… Stavamo 2-0, eravamo a dieci minuti dalla fine. Colpa della troppa fiducia”.

Mi sembra di capire che i suoi rimpianti principali siano due. Gli infortuni e non aver potuto giocare la finale di Coppa Italia con la maglia del Palermo.
«La finale di Coppa Italia è il rimpianto più grande perché l’ho buttata, gli infortuni purtroppo fanno parte del gioco».