Gazzetta dello Sport: “La fine del Brescia. Per tre milioni il club sparisce”

Un epilogo che sa più di ripicca che di resa ponderata. Con un gesto clamoroso, Massimo Cellino ha deciso di non iscrivere il Brescia Calcio al prossimo campionato. Il club, che aveva conquistato la salvezza sul campo, è di fatto morto, come scrive Nicola Binda sulla Gazzetta dello Sport. Nonostante le trattative in corso con un fondo statunitense e gli appelli di giocatori, tifosi e collaboratori, l’ex patron del Leeds ha spento i telefoni e chiuso ogni spiraglio di salvezza.
Una scelta maturata mentre pendeva ancora un ricorso d’appello – ormai inutile – contro la penalizzazione di 4 punti inflitta dalla FIGC per il mancato pagamento di Irpef e Inps di febbraio e aprile, con altri 4 punti già previsti per la prossima stagione. La cifra per garantire l’iscrizione? Circa 3 milioni di euro: un mese di stipendi, uno di Inps, due di Irpef, e la prima rata della rateizzazione con l’Agenzia delle Entrate. Tutto pronto per un rilancio, anche grazie alla regia di un professionista di fama nazionale. Ma Cellino ha deciso di chiudere i battenti.
Il silenzio del presidente e la città tradita
Secondo Binda sulla Gazzetta, nelle ultime ore tutto si è consumato nel silenzio assordante del presidente, che da Londra ha fatto calare il sipario senza rispondere a nessuno: né ai giocatori, né ai dipendenti, né tantomeno ai tifosi. È l’atto finale di una gestione sempre più invisa alla piazza, culminata in un’ultima stagione vissuta tra proteste e salvezze risicate. Il paradosso è che proprio nel momento in cui serviva uno scatto, Cellino ha preferito abbandonare la nave.
La città, pur preoccupata e ferita, non si è lasciata andare al vittimismo. Il sindaco Laura Castelletti ha annunciato un tavolo con le altre realtà calcistiche del territorio – Lumezzane, Feralpisalò, Ospitaletto – per valutare possibili sinergie. Ma le speranze, sottolinea ancora Binda, sono poche. Il vero nodo è culturale: Brescia è la provincia più ricca d’Italia, ma nessun imprenditore locale ha mai voluto avvicinarsi davvero al club del capoluogo, ritenendo l’ambiente troppo esigente e difficile da gestire.
Il dolore dei tifosi e il post su Instagram di Bisoli
I tifosi non ci stanno. Anche nella notte tra martedì e mercoledì, decine di supporter si sono radunati sotto la sede sociale. La tensione è rimasta alta fino a tardi, presidiata dalle forze dell’ordine. Il capitano Dimitri Bisoli, tra i primi a reagire pubblicamente, ha affidato a Instagram un messaggio che è diventato un manifesto di orgoglio:
«Sono stati calpestati 114 anni di storia, ma il Brescia non è lui. Il Brescia siamo noi. E non morirà mai».
Le sue parole sono state subito condivise da altri compagni di squadra. Ma lo scenario che si apre è complesso: lo store ufficiale e il centro sportivo di Torbole Casaglia non appartengono al club, bensì a Eleonora Immobiliare, società riconducibile alla famiglia Cellino. Ed è su questo punto che si giocherà anche la partita in tribunale: con un’esposizione di circa 9 milioni di euro, si profila la messa in liquidazione per evitare il fallimento e salvare il patrimonio personale legato alla società immobiliare.
Il marchio, la memoria e l’assenza
Il marchio Brescia resta comunque di proprietà di Cellino. E così, mentre l’ex presidente si è rifugiato a Londra, ufficialmente per motivi di salute, la città resta con un pugno di cenere in mano. Il calcio a Brescia è finito, almeno per ora. E come conclude amaramente Nicola Binda sulla Gazzetta, la città non dimenticherà. Né il dolore, né chi ha premuto l’interruttore per spegnere 114 anni di storia.