De Laurentiis: «Le retrocessioni frenano gli investimenti. Il calcio deve cambiare»

Il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis/ fonte Lapresse- ilovepalermocalcio.com

Da mesi Aurelio De Laurentiis insiste su un punto: il calcio, così com’è, «non può andare avanti». Un sistema che il patron del Napoli definisce vecchio, ingessato, incapace di garantire sostenibilità economica e sportiva. E al Gran Galà del Calcio il presidente è tornato a ribadire la necessità di una riforma radicale.

«Il problema sono sempre gli infortuni, che sono imponderabili: non si possono prevedere», afferma De Laurentiis. «Nessuno si sarebbe aspettato che sette giocatori di quel livello venissero a mancare. Nel calcio si fa sempre una grande tragedia o una grande festa: le cose serie purtroppo non esistono. Le istituzioni calcistiche ci trascinano nei loro percorsi dorati, interessa solo il mantenimento della poltrona. Il calcio è vecchio, anzi stravecchio».

Per il numero uno del Napoli, servono scelte coraggiose. «Bisogna sparecchiare la tavola da tutto ciò che è vecchio. Parliamo di impresa ma ci comportiamo da impiegati di un grande sistema in cui comandano solo due personaggi. È triste e anacronistico. Andiamo verso un futuro fatto di IA e innovazione, mentre al calcio manca proprio questo».

De Laurentiis punta il dito contro l’assetto attuale dei campionati: «Si cerca sempre di togliere ai tornei nazionali. Il calcio non appartiene a tre o quattro nazioni, ma al mondo intero. Serve capire perché non è più finanziabile, e fare il giusto per le società. I tifosi sono i nostri committenti: per loro il campionato deve tornare al centro».

Ed eccolo il passaggio più forte: il tema delle retrocessioni, per De Laurentiis uno dei principali freni allo sviluppo del sistema.

«Dovremmo cominciare e chiudere il campionato in tempi più razionali. Se fossimo meno società sarebbe tutto più semplice. Il vero problema? Le retrocessioni. Se una società piccola ha la Spada di Damocle sulla testa, non investe. In NBA non ci sono retrocessioni e sono diventati tutti miliardari. Da noi, invece, i fondi e i proprietari non hanno il tempo di fare gavetta e comprendere il contesto. È un sistema che blocca la crescita».