Ferrieri Caputi: «L’arbitro deve essere un punto di riferimento. Leadership, comunicazione ed empatia le chiavi del ruolo»

Maria Sole Ferrieri Caputi, arbitro internazionale appartenente alla CAN, ha raccontato la sua visione del mestiere di direttore di gara ai microfoni del podcast ufficiale dell’AIA “Regole di vita sulla professione del direttore di gara nel calcio moderno”.

«Leadership e ruolo dell’arbitro»

«La figura dell’arbitro porta con sé delle particolarità: serve una leadership non legata al risultato sportivo, ma al rispetto delle regole. L’arbitro deve essere riconosciuto come punto di riferimento per risolvere i problemi. All’interno della squadra arbitrale deve essere positivo e motivante verso i collaboratori, per ottenere la miglior prestazione possibile».

«Comunicazione in campo»

Ferrieri Caputi ha spiegato le proprie strategie nelle gare ad alta tensione: «Cerco sempre di essere concisa e sintetica, dando spiegazioni al capitano e, se necessario, al tecnico. Non accetto molto il dialogo con altre figure nei momenti più caldi. Altre volte è giusto spiegarsi o mandare un messaggio».

Fondamentale anche il linguaggio del corpo: «Ci lavoriamo molto anche nei raduni, con il supporto di psicologi. Non è un aspetto facile».

«Dilettanti e professionisti»

Sul passaggio dal dilettantismo al professionismo, la differenza è netta: «Si passa da calciatori che il giorno dopo vanno a lavorare a chi vive il calcio come obiettivo primario».

«Gestione delle critiche»

«L’importante è non scomporsi. Le contestazioni da fuori non ci influenzano, anche se il clima dello stadio si sente. Quello che conta è ciò che posso controllare. Non si può accontentare tutti: bisogna dimostrare di aver preso una decisione con onestà e trasparenza. E se ho sbagliato, c’è lo strumento tecnologico a supporto».

«Miglioramento e collaborazione»

Sul percorso di crescita personale: «Più si fa esperienza e più ci si confronta, più si cresce. Anche il tono di voce con cui si trasmette un messaggio è fondamentale».

Sulla collaborazione con la squadra arbitrale: «Il campo è grande e non si può gestire da soli. Dal momento dell’assegnazione lavoriamo sulle problematicità del match. Il giorno della gara facciamo una riunione con un match analyst che ci illustra le difficoltà tattiche. Poi c’è la gestione del rapporto con il VAR».

«Autorevolezza ed empatia»

Infine, sul ruolo dell’arbitro: «Al momento della decisione non puoi essere empatico, neanche al 90’. Ma nella gestione delle emozioni dei giocatori, o in episodi di razzismo o malori, l’aspetto umano deve venire fuori al 100%».