Viola: «Palermo è una piazza esigente. Lì ho capito cosa volevo diventare davvero»

Ospite del PodCasteddu, podcast ufficiale del Cagliari, Nicolas Viola ha ripercorso con grande lucidità e intensità i momenti più significativi della sua carriera. Tra questi, l’esperienza vissuta con la maglia del Palermo ha avuto un peso fondamentale nella sua maturazione, sebbene vissuta tra luci e ombre.

«Io gioco a calcio da tantissimi anni e il mio obiettivo era soltanto uno: quello di giocare in Serie A» – racconta il centrocampista – «E quando ti trovi, soprattutto nell’età giovane, a uscire da un paesino dove sei cresciuto, con tutto il massimo calore che mi ha dato — comunque in qualche aspetto è stato un po’ limitante — uscire da lì e scoprire un mondo nuovo, un po’ mi ha… non ti dico spaventato, però mi ha fatto capire che dovevo fare qualcosa in più».

Un «qualcosa in più» che Viola ha trovato in un percorso di crescita personale profondo, che va oltre il campo:
«L’ho ritrovato attraverso lo studio, ma non solo. Era la ricerca di sentirmi sempre all’altezza, quindi un arricchimento personale. Ho scoperto me stesso anche attraverso l’errore, e per me, l’errore non era contemplato. Dovevo fare le cose perfette, e quando sbagliavo, subentrava un senso di colpa grandissimo».

Sul passaggio al Palermo, Viola ricorda:
«Quello è stato l’anno in cui ho capito che c’era da lavorare, perché io volevo arrivare a quel livello lì. Era una stagione complessa: cinque esoneri, tre allenatori, una piazza esigente. Io ero arrivato come una promessa, dovevo essere il sostituto di Liverani, che poi mi sono ritrovato come allenatore. Non è stato facile. Il Palermo è una piazza dove la Serie A era ormai diventata una cosa normale, e si puntava molto più in alto della salvezza».

Nonostante le difficoltà, l’esperienza rosanero ha lasciato un segno profondo:
«Mi sono confrontato con giocatori veramente forti, e anche se allora non ero in grado di capire cosa mi lasciassero, oggi posso dire che tutti mi hanno arricchito. Quell’esperienza mi ha permesso di fare luce su limiti e sensi di colpa che mi portavo dietro. Non ho rimpianti, ma è stato un momento fondamentale per la mia crescita».

La piena maturazione, però, sarebbe arrivata più avanti, con la maglia del Benevento e l’incontro con Roberto De Zerbi:
«Avevo 27 o 28 anni, ed è lì che ho veramente capito cosa volevo diventare. Con De Zerbi è stato tutto difficile all’inizio: mi sono messo in discussione, ho perso le mie sicurezze, ma ho trovato finalmente la strada giusta. Mi ha svoltato la carriera».

Infine, una riflessione che riguarda ogni calciatore:
«Quando non giochi, tendi a dare la colpa agli altri. Io invece ho imparato che tutto dipende da me. È stato lì che ho capito: se voglio essere un altro tipo di giocatore, devo assumermi la responsabilità. E Palermo, in quel percorso, ha avuto un ruolo decisivo».