Nella sua lunga intervista pubblicata sulla Gazzetta dello Sport, Matteo Brega raccoglie le riflessioni di Paolo Bianco, tecnico del Monza capolista dopo sei vittorie consecutive. Un primato che sorprende solo chi non conosce – come evidenzia Brega sulla Gazzetta dello Sport – il percorso di un allenatore che mette al centro valori, metodo e identità.

«Il tempo necessario per diventare squadra dipende dai giocatori», spiega Bianco a Matteo Brega della Gazzetta dello Sport, sottolineando come il fattore decisivo sia sempre la disponibilità del gruppo. Un esempio arriva da Keita: «Non mi piaceva come si allenava. Ora sì. Io non sono cambiato: ho fatto ciò che andava fatto come persona, non come allenatore».

Alla Gazzetta dello Sport, Bianco racconta anche il periodo di dieci mesi vissuto lontano dal campo, dopo Modena e prima di Frosinone: «Ho lavorato tantissimo su me stesso. Mia moglie Marzia, illustratrice, è fondamentale per il mio equilibrio. Tanti hanno il mental coach, io ho mia moglie».

Il tecnico parla poi della nuova proprietà del Monza, evidenziando a Matteo Brega la qualità dello scambio quotidiano con i dirigenti: «Sono stato scelto due volte: prima da Galliani, Bianchessi e Floccari, poi da Baldissoni, Burdisso e Vallone. Il feeling c’era anche nelle prime sei giornate quando ne abbiamo perse due».

La rosa, afferma Bianco nella conversazione con la Gazzetta dello Sport, è di livello altissimo: «Allenare questo gruppo è più facile: ci sono giocatori forti. La mia paura è che la squadra si accontenti, ma mi stanno dimostrando il contrario. Non possiamo più permetterci di abbassare il livello. Guardate Sinner e Alcaraz…».

Sul valore delle vittorie: «La casualità non esiste, tutto ha un senso». Sulla strategia: «Giocare semplice è la cosa più difficile. Ogni partita ha una strategia diversa, restando fedeli ai propri principi».

A Brega, Bianco racconta anche il periodo vissuto con De Zerbi allo Shakhtar, segnato dall’angoscia della guerra in Ucraina: «Non volevo lasciare quella terra. Ci tornerò per completare un pezzo della mia vita». E rivela di aver rifiutato la panchina dello Shakhtar come primo allenatore per rispetto dell’impegno col Modena.

Il tecnico riflette poi sul ruolo dell’allenatore moderno: «Allenare, comunicare, gestire. Avere vissuto lo spogliatoio da calciatore aiuta. Così diventi un tecnico completo». Su De Zerbi e Allegri è netto: «Roberto mi ha regalato l’esperienza più bella della vita. Max è troppo avanti nella gestione delle difficoltà».

Con umiltà, Bianco scherza sulla possibilità di schierare il “difensore Bianco”: «Ma no! La richiesta odierna è troppo elevata». E racconta il suo addio al calcio giocato a 38 anni, su richiesta di Di Francesco.

Poi la sua filosofia: «Io non sono un allenatore: io faccio l’allenatore. Prima di tutto sono una persona». Una normalità che rivendica con orgoglio: «Pago le bollette, faccio la spesa, pulisco casa, vado in ricicleria. Sono Paolo».

E sul suo luogo dell’anima non ha dubbi: «Dove c’è la mia famiglia. E a Orsara di Puglia, il paese di mia madre: lì ritrovo equilibrio, lì sto bene».