Palermo e 125 anni, Sagramola: «I miei undici anni in rosanero, tra emozioni e rinascita»

Intervista esclusiva realizzata dalla redazione di Ilovepalermocalcio.com con Rinaldo Sagramola, ex amministratore delegato del Palermo per undici anni. Tra ricordi, emozioni e riflessioni, Sagramola ripercorre i momenti più intensi vissuti in rosanero: dall’era Zamparini, con la promozione in Serie A e la storica finale di Coppa Italia, fino alla rinascita del club dopo il fallimento e alla ripartenza dalla Serie D.

Centoventicinque anni: non è un compleanno banale, ma un compleanno da festeggiare in grande e, soprattutto, con chi ha fatto parte della storia del Palermo. Uno di questi è Rinaldo Sagramola, amministratore delegato del club di viale del Fante per ben undici anni — otto di questi durante l’era Zamparini, con la promozione in Serie A, la finale di Coppa Italia e non solo, gli ultimi tre con il Palermo ripartito dalla Serie D e riportato tra i professionisti.

Direttore, parliamo di questi undici anni in rosanero. Lei, indubbiamente, ha fatto parte della storia del club.
«Io amo la Sicilia in generale, ma Palermo in particolare. Abbiamo anche una casa in città, con la quale c’è un rapporto viscerale».

Durante l’era Zamparini sono stati anni bellissimi: sono arrivate la promozione in Serie A, la prima storica qualificazione a quella che una volta era la Coppa Uefa e la finale di Coppa Italia. I momenti migliori, dal punto di vista dei risultati, del Palermo.
«Sono rimasti vividamente nella mia memoria. Ricordo la prima qualificazione in Coppa Uefa, la finale di Coppa Italia, il primo successo dopo quarant’anni o giù di lì a Torino contro la Juventus. Sono momenti bellissimi».

Tornò a Palermo ripartendo dalla Serie D. Quello fu, forse, il momento più basso — inteso come categoria — perché non era una categoria che apparteneva alla piazza. Quanto fu difficile affrontare quel campionato?
«Sì, però anche in quel momento c’è stato un seguito della piazza commovente. Ricordo i cori durante il ritiro a Petralia: c’è stato sempre un attaccamento incredibile. La gente riconosceva anche il coraggio di quell’impresa. Basti considerare che noi ripartimmo senza nemmeno i mobili in sede. Fu un campionato difficile, ma allestimmo una squadra con giocatori di valore, alcuni dei quali scesi dalla Serie B. La stagione finì con il Covid, ma avevamo un buon vantaggio sul Savoia, che era la più accreditata delle concorrenti. C’è stato un attaccamento veloce, perché i successi che abbiamo colto sono stati significativi. Come è stata significativa la vittoria del campionato di Serie C: noi siamo stati in Serie C con quel Palermo solo due anni. Il Bari c’è stato tre, il Monza di Berlusconi due. Tutte le squadre con grandi piazze dietro ci stanno più di tre o quattro anni, perché la Serie C è un campionato mortifero. Noi siamo stati anche bravi in quella esperienza. Ricordo le ultime partite dei playoff: sono stampate a caratteri indelebili nella mia memoria. Lo stadio pieno, con oltre 30mila persone, è stata un’esperienza fortissima».

Quale fu l’addio più doloroso, quello con Zamparini o con Mirri?
«Sono storie che sono finite normalmente, senza strepiti. Con Mirri c’è stato un cambio di proprietà: è giusto che i proprietari mettano persone di loro fiducia. Con Zamparini fui io a comunicare che me ne sarei andato a fine stagione. In quel periodo avevamo fatto tante cose con la squadra, anche per far guadagnare al Palermo una posizione importante non solo nelle graduatorie sportive ma anche nei “palazzi” del mondo calcistico. Con l’ultima esperienza non ci sono stati problemi: quando un gruppo rileva una società è giusto che metta le persone di cui si fida».

Ma se chiude gli occhi e ripensa a un momento vissuto al Palermo, cosa le viene in mente?
«La finale di Coppa Italia, con 40mila palermitani a colorare le strade di Roma: è stata un’emozione incredibile, bellissima».

E invece, quello che vorrebbe non aver vissuto?
«Non ce ne sono stati. Abbiamo affrontato anche qualche contestazione, come dopo una partita persa a Catania con Cosmi in panchina. Ci fu un po’ di malumore tra i tifosi, ma sono tutte cose normali. Sono solo dei bellissimi ricordi quelli che mi legano al Palermo».

Alla guida del Palermo adesso c’è City Group, società e dalla piazza sperano di tornare nella massima serie: lei crede che questo possa essere l’anno giusto per il salto?
«Credo di sì, anche valutando dall’esterno le operazioni fatte. La squadra ha tutte le potenzialità per competere. È un campionato difficile, ma come in tutti i campionati vincerlo è sempre un’impresa. Credo che il Palermo abbia tutte le carte per riuscirci».

Quando il Palermo ripartì dalla Serie D, alla guida c’erano Mirri e Di Piazza. Le due parti arrivarono allo scontro: forse il tutto poteva essere gestito meglio?
«Nelle società, quando ci sono due soggetti che comandano e condividono la responsabilità della conduzione, è frequente che insorgano difficoltà tra i soci, per un motivo o per un altro. La storia finì, ma io guardo ai fatti. E i fatti sono che il Palermo è sopravvissuto, oggi è nelle mani di un grandissimo gruppo, e quindi non subimmo grandi contraccolpi da quella separazione».