Affermare adesso «ve lo avevamo detto» potrebbe sembrare retorico, quasi come sparare sulla Croce Rossa. Ma, come sottolinea Massimo Norrito su la Repubblica Palermo, è innegabile che il fallimento del Palermo fosse ampiamente prevedibile. L’eliminazione ai playoff per mano della Juve Stabia non è stata una sorpresa, ma l’inevitabile epilogo di una stagione nata storta e mai raddrizzata.

Dionisi, scelta sbagliata mai corretta

Secondo Norrito, il vero nodo è stato l’ingaggio di Alessio Dionisi, decisione che ha segnato fin da subito il destino della stagione. Una scelta firmata da Riccardo Bigon, ma mai corretta dalla società, nonostante le evidenti avvisaglie. Il tecnico non ha mai instaurato un rapporto con la piazza, ha confuso la squadra con continui cambi di modulo e interpreti, senza mai dare un’identità chiara. Il suo cammino è stato accompagnato da contestazioni crescenti, fino alla rottura finale.

In più occasioni, la dirigenza avrebbe valutato l’ipotesi di un cambio in corsa, ma nulla è stato fatto. Tra call conference, summit e silenzi, il City Football Group ha preferito non agire, pur ammettendo, come ricorda la Repubblica Palermo, di aver sondato altri allenatori senza però individuare un sostituto adeguato. Alla fine, si è provato a tamponare con l’esperienza di Carlo Osti e un mercato di gennaio ambizioso. Ma, come scrive amaramente Norrito, «se dai una Ferrari a un neopatentato, non sarà mai come darla a un pilota di Formula 1».

Una stagione di mediocrità, fra proclami e risultati deludenti

Il Palermo ha chiuso ottavo. Né un risultato clamoroso né un traguardo da rivendicare, malgrado le dichiarazioni dell’avvocato Alberto Galassi che, tra una cena con Charles Leclerc e l’altra, ha definito il piazzamento eccezionale. In realtà, ribadisce l’autore su la Repubblica Palermo, il rendimento stagionale è stato deludente e prevedibile. Mollezza, errori ripetuti, fragilità mentale: la fotografia di un’annata fallimentare.

La beffa peggiore? Avere sprecato una stagione intera senza mai provare davvero a cambiarne il corso. E adesso, dopo un nono, un sesto e un ottavo posto in tre anni, ci si chiede quale sia la reale ambizione di un progetto che continua a proclamare l’obiettivo Serie A, senza mai avvicinarcisi davvero.

Il vero punto interrogativo: il senso del progetto City

Il vero quesito, suggerisce Norrito, è comprendere quanto Manchester tenga davvero al “pianeta Palermo” all’interno della galassia City Football Group. Gli investimenti ci sono stati – centro sportivo, solidità economica, strutture – ma il calcio è anche passione, risultati, stadi pieni. Il calcio, a Palermo, non è «prima o poi andremo in Serie A». È un’emozione da vivere, non una strategia industriale da monitorare.

Quando il City acquistò il Palermo, non trovò una fotocopiatrice rotta – come ironicamente raccontato da Galassi – ma un club che aveva vinto due campionati, rilanciato giovani oggi in Serie A, e iniziato da solo il progetto Torretta. Soprattutto, trovò una piazza innamorata della propria squadra, capace di riempire lo stadio con oltre 100mila presenze nei playoff del 2022.

Oggi quella passione si è affievolita: c’è chi guarda con distacco, chi con amarezza, chi con disillusione. E in questo contesto emotivo, il City è chiamato a ripartire da zero: da una guida tecnica credibile, da una rosa da ricostruire, ma soprattutto da un ambiente da riconquistare.

Una ripartenza da macerie

Conclude Massimo Norrito su la Repubblica Palermo: la stagione di Dionisi si chiude lasciando macerie emotive e tecniche, e una piazza che ha perso fiducia. Ripartire non sarà semplice, ma è necessario. Non solo con parole, ma con fatti concreti, a partire da una nuova guida e da un progetto che torni a mettere il pallone e la passione al centro.