Baldini: «Il mio Palermo era più attrezzato del Pescara. Nei miei boschi troverò Dio»

L’ex tecnico del Palermo, oggi nuovo eroe di Pescara, è tornato protagonista dopo aver riportato gli abruzzesi in Serie B attraverso una cavalcata playoff memorabile. Uomo schietto, idealista, mai banale, Silvio Baldini ha rilasciato una lunga intervista a Nicola Binda per la Gazzetta dello Sport, affrontando temi che vanno ben oltre il campo: identità, valori, calcio malato, e soprattutto il suo rapporto viscerale con la famiglia, la natura e la verità. Un racconto autentico, intenso, lucido. Proprio come lui.

«Spalletti? In Nazionale ormai si rifiutano le convocazioni»

«Puoi mettere chiunque a guidare la Nazionale, ma se perdi diventi carne da macello», dice Baldini. «Non c’è più senso di appartenenza, si rifiuta la convocazione. È molto triste. Il calcio è pieno di problemi, di piccole truffe, di bilanci truccati. È un mondo dove si bara, e allora come fai a trasmettere dei valori? Conta solo lucrare, non conta più nemmeno l’inno».

«L’inno di Mameli? Solo uno slogan»

«Chi lo canta non ne conosce nemmeno il significato. È un inno a chi ci ha dato la libertà, ma che ne sanno i giocatori? Dicono che parlo da cafone, ma questo mondo si merita questo linguaggio. Qui si imbroglia e ci si nasconde dietro la forma. Un vecchio boscaiolo mi diceva: “Non mi fido dei preti che dicono messa in latino perché non capisco nulla”. Nel calcio è uguale: si vende solo apparenza».

«Conta il percorso, non il risultato»

«Come per la mia famiglia. Se per loro faccio il lestofante, non va bene. Conta chi sei, non cosa vinci. La Ternana era più forte, noi in dieci, ma il destino ha deciso così. E sa a chi dedico questa promozione?»

«A chi non ha finito la stagione»

«Agli allenatori che non sono riusciti a finire il campionato. Siamo persone sole, l’esonero ti ferisce nell’anima. Vorrei che i colleghi gioissero con me. Tra un vincitore e un vinto non c’è differenza. Se credi solo nel risultato, sei condannato a perdere sempre».

«Il calcio di oggi ti prende in giro»

«Tutte le ragazze vogliono fare le veline, i genitori pagano per far giocare i figli. Che società è questa? Che gioventù cresciamo?»

«Questa promozione è per la mia famiglia»

«Senza di loro non avrei fatto nulla. Il mio modo di pensare può sembrare folle, ma ho vinto per i miei principi».

«Palermo era più forte, ma qui ho costruito»

«Il Palermo era attrezzato. A Pescara abbiamo dovuto crescere. Abbiamo vinto 15 gare fuori casa: significa che abbiamo lavorato bene, con cuore e passione. A Palermo bastò dare regole a giocatori già forti».

«Sono il più vecchio a vincere i playoff»

«Ho superato il mio amico Braglia. E sono il primo a vincere due volte i playoff di Serie C a 28 squadre».

«Sapevo che ce l’avremmo fatta»

«A marzo, quando abbiamo avuto una flessione, ho capito che avevamo perso il treno. Ma sapevo che l’aspetto atletico ci avrebbe dato forza nel finale. Così è stato. E nonostante gli infortuni, abbiamo chiuso con un ritmo super».

«Ho reinventato una difesa»

«Tre difensori centrali fuori. Ho spostato Letizia, poi ho inventato Lonardi. È un centrocampista, veniva da un brutto infortunio. Gli ho parlato: sapevo che dietro si corre meno. Si è fatto trovare pronto».

«Quando dissi che saremmo saliti in B? Mezzo bluff»

«Era il 29 novembre. Metà convinzione, metà bluff. Ma se cerchi alibi non vinci mai. Volevo vincere, e sapevo che serviva il triplo dell’impegno».

«I baci in tribuna? Per la mia famiglia»

«Mia moglie, mio figlio con la compagna, mio nipotino. Non li vedevo da 43 giorni. Mi hanno detto: “Comunque vada, siamo felici di essere uniti”. Lì avevo già vinto».

«Le lacrime dei miei giocatori? Il regalo più bello»

«Ognuno mi ripeteva ciò che gli avevo detto durante l’anno: credere nei valori. Prima dei playoff dissi: “Si gioca ogni tre giorni, mandate a casa mogli e fidanzate. Se volete vincere, dimenticate tutto”. L’hanno fatto. E il destino ci ha aiutato».

«Il male del calcio? I lestofanti»

«Gente che pensa solo a guadagnare. Serve educazione nei settori giovanili, trasmettere senso di appartenenza. Temo che gli italiani diventeranno tifosi di Brasile e Argentina. Va bene l’integrazione, ma non possiamo perdere la nostra cultura. Il crocifisso nelle scuole, le feste religiose… perché non si ferma il campionato? Solo perché lo fanno gli inglesi? Ma loro sono anglosassoni. Noi no».

«Tre mosse per cambiare il calcio?»

«Capire perché le cose accadono, dove intervenire per evitarle, e mettere persone oneste al comando. Poi si comincia».

«Nei miei boschi troverò Dio»

«Quando tornerò nei miei boschi in Lunigiana, sarà come stare davanti al Creatore. Lì non puoi barare. Lì c’è la mia anima».