Dirigente di lungo corso, uomo d’altri tempi, testimone di un calcio che ha attraversato epoche e rivoluzioni. Giorgio Perinetti racconta sé stesso e le sue ferite più profonde in una toccante intervista concessa a Gregorio Spigno per la Gazzetta dello Sport. Oltre cinquant’anni di carriera tra Roma, Napoli, Juve e Palermo, costellati da successi e dolori personali che lo hanno segnato per sempre.
Dopo aver perso la moglie nel 2015 e, pochi anni dopo, la figlia Emanuela, scomparsa a causa dell’anoressia, Perinetti ha deciso di trasformare il dolore in impegno. Come racconta Spigno sulla Gazzetta dello Sport, l’ex direttore sportivo ha scritto il libro “Quello che non ho visto arrivare”, un gesto di memoria e consapevolezza per tenere accesi i riflettori sui disturbi alimentari.
«All’inizio ero restio – confessa Perinetti – ma poi ho capito che raccontare la mia storia poteva aiutare qualcuno. Dopo la morte di Emanuela, il medico che la seguiva mi disse che un’altra ragazza, leggendo la sua vicenda, aveva accettato il ricovero. È stata quella la mia spinta».
Il dolore, tuttavia, resta indelebile. «Sopravvivere a un figlio è qualcosa di innaturale – dice Perinetti alla Gazzetta dello Sport –. Ho perso mia moglie, poi mia figlia, una ragazza intelligente e piena di vita. Non smetto mai di darmi colpe. Forse non ho colto i segnali, non ho capito le sue richieste di aiuto. Questa è la mia più grande disperazione».
L’ex dirigente ripercorre con Gregorio Spigno sulla Gazzetta dello Sport anche i ricordi più teneri con la figlia: «Da bambina veniva con la mamma a vedermi lavorare a Trigoria. Mi guardava in silenzio e poi sceglieva sempre di tornare col papà. Si sedeva in braccio ad Aldair, felice».
Oggi, spiega, è proprio il calcio a tenerlo in piedi: «Dopo la morte di mia moglie accettai il Venezia per non crollare. Dopo Emanuela, ho scelto Avellino e poi l’Athletic Palermo: volevo chiudere da dove avevo iniziato, con i giovani, regalando sogni».
Poi, il ricordo dei momenti salienti della carriera. Perinetti, come ricorda la Gazzetta dello Sport, iniziò giovanissimo nella Roma, accanto al “Mago” Helenio Herrera, per poi approdare al Napoli, dove visse uno degli episodi più difficili: «Fu Ferlaino a chiedermi di comunicare a Maradona la squalifica per uso di cocaina. Andai a casa sua: Diego si portò una mano al fianco e disse solo “Non è possibile…”, con una smorfia di dolore che non dimenticherò mai».
Alla Juventus, invece, un episodio rimasto nel cuore: «Durante un Olympiacos-Juve di Champions, Ancelotti voleva sostituire Conte con Fonseca. Io, per un pasticcio con la lavagnetta, feci ritardare il cambio e Conte segnò. Mi girai verso Carletto: “Ah Carlé, t’avevo detto d’aspettà!”».
Infine, la scoperta del Conte allenatore: «Era un predestinato. Aveva davanti mostri sacri come Zidane, Deschamps e Davids, ma imponeva la sua personalità. Lo vedevo già futuro tecnico».
