Giornale di Sicilia: “Caccia al branco dello Zen, sette giovani sotto torchio per l’omicidio di Paolo Taormina”

PALERMO – Si stringe il cerchio attorno al gruppo che accompagnava Gaetano Maranzano, il ventottenne reo confesso dell’omicidio di Paolo Taormina, il ventenne titolare del pub O’ Scruscio in via Spinuzza, ucciso con un colpo di pistola alla testa nella notte tra sabato e domenica. Come riporta Fabio Geraci sul Giornale di Sicilia, sette giovani dello Zen sono stati ascoltati ieri dai carabinieri su disposizione della Procura, che punta a chiarire il ruolo del branco, ricostruire chi abbia preso parte alla rissa e chi possa aver aiutato l’assassino a fuggire dopo l’agguato.

Al centro delle verifiche ci sarebbero due ragazzi, tra cui un ventisettenne, amico più stretto di Maranzano, definito da lui «fratello» e con cui condivideva serate, foto e tatuaggi. È a casa sua che i militari del Nucleo investigativo e della compagnia di Piazza Verdi hanno trovato, durante una perquisizione allo Zen, le collane d’oro con crocifissi, pistole e il ciondolo con la scritta «King» indossate da Maranzano la notte del delitto, immortalate nelle immagini delle telecamere. Un riscontro considerato fondamentale dagli inquirenti per ricostruire la rete di complicità.

L’inchiesta, coordinata dal procuratore Maurizio de Lucia, mira ora a definire le singole responsabilità. I due giovani più vicini a Maranzano avrebbero fornito versioni contraddittorie e incomplete, omettendo passaggi chiave della notte dell’omicidio. Per questo la Procura sta valutando l’ipotesi di indagarli per false informazioni al pubblico ministero, mantenendo per ora il massimo riserbo. Gli investigatori stanno cercando di stabilire chi possa aver nascosto o sostituito l’arma del delitto, visto che l’esame balistico dovrà ancora chiarire se la pistola Sig Sauer consegnata da Maranzano sia quella realmente utilizzata.

Le immagini video mostrerebbero un movimento del braccio non compatibile con l’arma recuperata, aprendo alla possibilità che ne esistesse una seconda. L’amico ventisettenne ha sostenuto di non aver più visto Maranzano dopo il delitto, ma la scoperta delle collane ne smentisce in parte la versione.

Dagli atti emerge che Maranzano era arrivato in via Spinuzza a bordo di un’auto partita dallo Zen insieme a tre amici. Le telecamere di sorveglianza lo riprendono con il gruppo tra via Maqueda e la piazzetta di fronte al Teatro Massimo: poco prima delle tre di notte uno di loro colpisce con uno schiaffo un cliente del locale. È in quei momenti che Paolo Taormina esce per sedare la lite, seguito da Maranzano che, dopo pochi istanti, estrae la pistola e spara.

Una testimone aveva parlato di una bottigliata, ma gli accertamenti medico-legali hanno escluso ferite compatibili, confermando l’esplosione di un colpo ravvicinato alla testa. Secondo il giudice per le indagini preliminari Claudio Emanuele Bencivinni, non si è trattato di un gesto d’impeto ma di un atto di violenza da parte di un uomo «privo di autocontrollo e incline alla reiterazione di reati con mezzi di violenza personale».

Nel suo interrogatorio davanti ai sostituti procuratori Maurizio Bonaccorso e Ornella Di Rienzo, Maranzano ha ammesso di aver sparato «per rabbia» dopo che Taormina lo avrebbe «rimproverato davanti a tutti», aggiungendo di aver covato risentimento per presunti apprezzamenti alla sua compagna sui social, ritenuti dagli inquirenti infondatezze. «Non ci ho visto più e gli ho sparato in testa», avrebbe detto. Dopo il colpo, ha gettato i proiettili in un tombino e si è allontanato a bordo di una Lancia Ypsilon scura, lasciando dietro di sé una scia di sangue e terrore nel cuore della movida palermitana.