Karel Zeman: «Mio padre e l’Inter, tutto saltò come accadde con Zamparini»

L’immagine scattata a Mazara del Vallo, qualche giorno fa, li mostra in acqua, insieme: Zdenek Zeman, fragile, provato dall’ictus e dalle due ischemie che lo hanno debilitato, e il figlio Karel, che oggi ne racconta la quotidianità. «Sta migliorando — dice Karel Zeman al Corriere della Sera — grazie a tanta fisioterapia, che dovrà fare ancora a lungo. Ha smesso anche di fumare, dal ricovero al Gemelli dello scorso febbraio. Oggi si gode la nipotina Gioia, tre anni: dice che gli cambia la giornata».

Le telefonate non mancano. «Tanti suoi ex giocatori lo sentono spesso: da Di Francesco a Stroppa, fino a Beppe Signori, che è in contatto con mia madre Chiara».

L’uomo e il padre

A 48 anni, sposato con Laura e con un fratello, Andrea, funzionario alla Farnesina, Karel rivendica con orgoglio di essere figlio d’arte. E del padre racconta soprattutto il lato privato: «Per tutti è l’uomo di ghiaccio, per me è sempre stato dolcissimo, il mio eroe, il mio compagno di giochi. Non so quante partite abbiamo visto assieme in tv».

Il primo ricordo? «A due anni mi lanciava in aria e mi afferrava all’ultimo. Mamma era terrorizzata, io mi divertivo». La prima volta allo stadio, invece, fu a Palermo-Milan del 1981, con i rosanero vittoriosi 3-1.

Non sono mancati i rimproveri, ma mai la perdita di calma. E qualche «bravo» pronunciato con orgoglio: «La prima volta quando mi sono laureato in Lingue con 110 e lode. Poi ha detto anche ad altri: “Karel in panchina è più bravo di me”».

L’eredità del calcio

Allenatore da 15 anni tra Serie D e Serie C, ultima esperienza al Nola, Karel confessa che il padre lo aveva sconsigliato dal seguire la stessa strada: «Testuale: “Nooo, ti sconsiglio questo lavoro, so cosa c’è nel calcio”. Ma io avevo già deciso. Vennero a vedermi allenare i ragazzi del Boiano e alla fine mi disse: “Va bene, lo puoi fare”».

Da allora la carriera è stata un cammino autonomo, senza scorciatoie. «Mio padre non mi voleva come secondo, per lui la strada dovevo trovarmela da solo. Io sono orgoglioso di lasciare sempre le squadre un po’ meglio di quando me le affidano».

Calciopoli, Moggi e i presidenti

Sui grandi temi del calcio italiano Karel mantiene equilibrio. «In tutti gli ambiti non c’è mai pulizia assoluta, sarebbe ipocrita dirlo. Nel calcio come altrove, a volte si fa finta di nulla, a volte serve un freno». Su Moggi, con cui Zdenek ebbe scontri infiniti, Karel sorprende: «L’ho conosciuto a Lavello, dove era consulente. Con me si è comportato molto bene, mi ha anche chiesto di papà».

Un rimpianto? L’occasione sfumata all’Inter: «Moratti lo voleva davvero, ci parlò anche. Poi, come con altri presidenti, arrivò un “per altri motivi non si può fare”».

L’incoraggiamento

Oggi, nella fragilità della malattia, resta la forza delle parole. «La frase che mi ripete è: “Adesso che io sono fermo, dimostra che sei tu il vero Zeman”».