Possanzini in B con il Mantova: «Anche in C si può fare bel calcio. Palermo? Se dovrò salire di categoria…»

La promozione del Mantova in Serie B rappresenta un momento di grande significato per il club e per il suo allenatore, Davide Possanzini, come evidenziato nell’edizione odierna di Tuttosport. Possanzini, ex giocatore del Palermo e ora al timone del Mantova, è riuscito a portare la squadra lombarda al successo con un approccio di gioco definito “libero”, che continuerà a sviluppare nella prossima stagione.

La sua filosofia di calcio si è rivelata efficace e ha permesso al Mantova di raggiungere la promozione in modo rapido e impressionante, sottolineando la crescita esponenziale del progetto a cui Possanzini ha lavorato sin dal suo arrivo. Le sue parole riportate da Tuttosport trasmettono l’entusiasmo e l’impegno continuo verso il club, evidenziando la sua determinazione a rimanere al Mantova e a portare avanti il progetto che lo ha visto crescere.

Questa promozione non è solo un traguardo sportivo, ma anche la conferma di una visione di calcio che Possanzini intende perseguire e perfezionare nella difficile arena della Serie B. La sfida sarà ardua, ma l’intenzione di continuare a implementare un gioco aperto e offensivo potrebbe rivelarsi una scommessa vincente nel più competitivo contesto della seconda serie italiana.

Un anno fa a quest’ora cosa stava facendo? «Ero un allenatore disoccupato, o meglio sotto contratto con il Brescia, ma dopo due sole partite alla guida della prima squadra non avevo potuto finire nemmeno il percorso cominciato con la Primavera. Sapevo di avere delle idee, ma non avevo chi era pronto a sposarle».

Tutto cominciò da una chiacchierata col ds Cristian Botturi «Mi aveva visto lavorare a Brescia, ci conoscevamo da qual che anno, ma non era detto ci fosse connessione. E invece bastò poco per capire che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Il calcio dovrebbe essere sempre così. Per le abitudini italiane quanto accaduto a Mantova quest’anno è l’eccezione e non la regola. Perché? A volte si dice “prendiamo quello che fa meno danni” e invece se non vedi il calcio allo stesso modo poi non può funzionare. Dopo il primo incontro con Botturi, lui non sapeva quale sarebbe stato il suo futuro. Gli dissi che l’avrei seguito ovunque. Poi è spuntato il Mantova e ho accettato nonostante il ripescaggio fosse tutt’altro che certo».

Potevate essere in D, vi ritrovate in B dopo aver mostrato un calcio fantastico… «Dal primo giorno di ritiro ho capito che i giocatori credevano nelle nostre idee. Un gioco sempre propositivo, senza mai speculare. Alla prima giornata subito il Padova: nell’intervallo dissi a Botturi che se loro erano i favoriti allora anche noi ce la saremmo giocata per il primo posto. Nonostante il progetto fosse triennale e l’obiettivo per il primo anno fossero i playoff».

Com’è nata la ipno-zona? «Definizione simpatica che ha dato un giornalista mantovano per descriverci quando a volte teniamo palla e ci fermiamo, accarezzando il pallone con la suola, aspettando che gli avversari vengano a prenderci per trovare spazi alle loro spalle, sfruttando poi il palleggio per andare a far gol. Siamo contenti di aver dimostrato che anche in C si può giocare a calcio, senza ricorrere a lanci lunghi, a difesa e contropiede. In estate il 3-0 sul Brescia in amichevole ci ha fatto capire che la strada era quella giusta».

Ha deciso di rimanere a Mantova, nonostante i rumor reali su Sassuolo, Palermo e persino Napoli fossero reali. È convinto che la ipno-zona funzioni anche in B? «Con Botturi e il presidente Piccoli abbiamo creato questo sistema dal nulla e vogliamo vedere fin dove possiamo spingerci. Se dovrò salire di categoria, potrò farlo anche nei prossimi anni».

Il suo calcio è più alla Gasperini, alla Klopp o alla Guardiola-De Zerbi? «Cerco di mixare tutto questo. Mi dà fastidio vedere quando gli avversari tengono la palla più di noi, ma non mi piace nemmeno il possesso fi ne a se stesso. Si sta andando sempre più verso un calcio fisico, si torna ai duelli: allenare gli uno contro uno è importante almeno tanto quanto il palleggio».

Ha più dato o preso nell’esperienza con De Zerbi? «Spero entrambe le cose. Essere stato il suo vice per sette anni mi è servito anche per capire tante cose nella gestione dello spogliatoio. Nel mio ruolo avevo più rapporti con staff medico e giocatori poco impiegati».