Gazzetta dello Sport: “Fagioli torna a parlare: «Non ho smesso di combattere la dipendenza, ogni tanto riaffiora»”

L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” riporta le parole di Nicolò Fagioli, convocato in Nazionale dopo lo scandalo scommesse che lo ha coinvolto.

Nicolò Fagioli, dopo una pausa forzata di sette mesi dovuta a una squalifica legata a scommesse, è finalmente tornato a giocare. La sua riapparizione in campo è avvenuta prima contro il Bologna e poi in una nota partita contro il Monza, dove ha mostrato una prestazione lodabile nel ruolo di regista. Questo periodo di assenza dal campo, che Fagioli ha descritto come un vero e proprio incubo, si è concluso con il suo ritorno e una discussione aperta su come ha affrontato personalmente questo difficile periodo.

Fagioli ha parlato del suo ritorno in campo e delle sue impressioni riguardo la recente inclusione nei preconvocati della nazionale italiana per gli Europei. Evidentemente, questa convocazione rappresenta per lui non solo un riscatto personale, ma anche una possibilità di dimostrare il suo valore in un palcoscenico ancora più grande, sottolineando una ripresa sia nella carriera che nella vita personale dopo un periodo così turbolento.

«Quando sono scoppiato a piangere, nella partita con il Sassuolo, non era solo per aver messo in difficoltà la mia squadra, ma perché in quel momento è scesa una cappa nera, tutto mi sembrava negativo, tutto scuro. Avevo sbagliato un pallone, ma il mio errore più grande era dentro di me. Il problema è che non ero più padrone di me stesso. Il gioco mi aveva divorato la vita, era diventato un assillo, un incubo. Lo so che sono un ragazzo fortunato, che ci sono miei coetanei in condizioni più drammatiche della mia, che non titolo per invocare comprensione. Ma non voglio neanche essere ipocrita. Sono stato inghiottito da un vuoto che non guarda in faccia nessuno, che non distingue per classe sociale, non premia né assolve in base al talento. Mi sentivo soffocare ma non trovavo il modo di venirne fuori».

«È cominciato tutto come un gioco. Scommettevo, tanto, ma non sulla mia squadra o su di me. Non volevo violare dei principi ai quali credo. So che sembra grottesco che io usi questa parola, ma per me è importante. Pensavo che giocare al calcio e alle scommesse, se le due rette non si incrociavano, non fosse grave. Non ho fatto male allo sport, non ho condizionato risultati o leso diritti di altri»