Zaniolo e le scommesse: «Ho sbagliato. Ma noi calciatori spesso siamo soli e ne soffriamo»

L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” ha realizzato una lunga intervista a Zaniolo il quale si è espresso ampiamente anche sul caso scommesse.

Quanto vale la verità? I 280 euro pagati come oblazione dopo la grancassa mediatica dovuta al suo presunto coinvolgimento nelle scommesse? Oppure la donazione ben più consistente fatta all’ospedale Gaslini, che dimostra occhi aperti sulla vita vera, quella di bambini che sognavano come faceva lui alla loro età, ma che invece sono fermati dalle malattie? Benvenuti nella seconda vita di Nicolò Zaniolo, non il calciatore di uno straordinario Aston Villa, ma l’ex “mostro” da prima pagina. Che adesso ha deciso di raccontarsi.

Zaniolo, adesso che grazie alla oblazione tutto può dirsi terminato, come si sente? «Meglio naturalmente, ma avevo già cominciato a sentirmi così dopo l’incontro con la procuratrice, quando è stata accertata la verità di quello che dicevo».

Per lei l’ammenda è irrisoria. «È vero, ma ho deciso di devolvere in beneficenza una somma all’ospedale Gaslini. Io sono di La Spezia e conosco bene quella struttura. Se la sfortuna mi avesse preso di mira, uno di quei bambini avrei potuto essere io».

Come ha vissuto l’inchiesta della Procura di Torino? «Anche se poi tutto è andato bene, non è stata una cosa bella, ma non posso dire nulla sulle indagini, lo sa. La cosa importante è che sia finita, però è brutto essere tirati in mezzo a una storia del genere senza avere fatto niente di grave. Ha presente come posso aver vissuto l’arrivo della polizia a Coverciano? Un incubo».

Andiamo al sodo: perché gente fortunata come voi gioca o addirittura scommette? «Chiariamo: io ho giocato su cose da casinò, ma non ho mai scommesso. Comunque ho sbagliato lo stesso, non posso negarlo, ma non sapevo fosse una piattaforma illegale».

Diamolo per buono, però ammetterà che non diate una bella immagine, soprattutto in tempi di ludopatia diffusa. «Può essere vero, ma io rispondo solo per me stesso. E allora le dico che la nostra è una vita…come dire… a doppio taglio. Lo so abbiamo i soldi, possiamo permetterci cose a cui la maggior parte delle persone non può arrivare, però spesso siamo costretti a stare da soli».

In che senso? «Crede che non sappiamo che tante persone che ci si avvicinano lo fanno solo perché siamo famosi? Non solo. Se andiamo in un ristorante o in un locale abbiamo tutti gli occhi addosso. Magari c’è gente che sta lì a farci dei video coi cellulari. Così se facciamo o diciamo una stupidaggine, in pochi secondi lo sa tutto il mondo. E allora magari non usciamo. Ce ne stiamo a casa col tablet o col cellulare, e per passare il tempo capita di giocare. Tutto qui. Non sarà intelligentissimo, ma è la verità».

L’impressione è che voi calciatori vi annoiate tanto. «A volte capita. Per questo ci succede di far avvicinare persone che poi si dimostrano sbagliate. Tanti di noi sono usciti di casa quando erano poco più di un bambino… So di compagni che piangevano, da piccoli, quando si ritrovavano in club lontani da casa, senza avere vicino il papà o la mamma».

È una storia strappalacrime per assolvervi? «Ma no, perché? Noi siamo dei fortunati, ma quello che abbiamo avuto ce lo siamo anche meritato. Guardi che non tutti giocano in Serie A. Le nostre carriere sono brevi e magari un infortunio può compromettere tutto. È capitato a tanti».