Repubblica: “Roberto Alajmo: “Era scritto l’alieno ti trascina all’inferno””

Intervenuto ai microfoni de “La Repubblica” Roberto Alajmo, giornalista e scrittore, ha espresso la propria opinione in merito all’epopea tra i palermitani e Maurizio Zamparini: da eroe a zavorra trascina i rosa nel baratro della serie C. L’imprenditore friulano è “Uomo della provvidenza”, o “Crono-Zamparini”, il dio titano che divorava i suoi figli, come ha scritto in “Palermo è una cipolla Remix”, riscrittura quasi integrale del primo volume. Quello pubblicato nel 2005, 14 anni fa, in un’altra era, quando il friulano era considerato il nuovo Federico II.  Un altro conquistatore di Palermo è caduto rovinosamente, dopo essere stato osannato come il re della città. «Affidarsi all’uomo della Provvidenza, sia ben chiaro, è una caratteristica italiana, da Mussolini a oggi. Eppure, a Palermo è affascinata dall’uomo forte, prima esaltato e poi abbandonato in un modo tutto nostro. Specialmente quando è straniero. Abbiamo visto poeti e critici d’arte a cui non credeva più nessuno che qui hanno trovato asilo. Abbiamo dedicato ad Alberto Amedeo, il figlio di Carlo Alberto di Savoia, una strada importante prima ancora che diventasse sovrano di un regno che ha persino rifiutato. Abbiamo creduto ad Giuseppe D’ Alesi, il Masaniello seicentesco di casa nostra, raccontato ieri da “Repubblica”, per poi tradirlo. Ma c’è un’altra legge scritta nella storia della città: Panormus conca aurea suos devorat alienos nutrit. Qualsiasi tifoso ha visto tanti talenti, da Toni a Cavani, da Pastore a Dybala, scovati a poco prezzo e poi rivenduti a suon di milioni. Eppure la società è finita nel baratro e ci doveva essere qualcosa che non tornava. Ma non è altro che il destino ineluttabile di affidarsi al conquistatore straniero venuto qui per un suo tornaconto». E i suoi figli? «Per risalire a presidenti trasparenti bisogna andare indietro, prima a La Gumina e poi a Renzo Barbera. Uno, come Gambino è morto in carcere. Parisi è stato ucciso dalla mafia. Forse, essere presidente di una società di calcio, altrove elemento di prestigio, in questa città non conviene, può essere anche controproducente».
Lei cita i periodi più bui, culminati con il fallimento dei rosanero del 1986, preludio degli anni più violenti del piombo mafioso. C’è un’amara profezia di sventura in questo ritorno nel baratro? «Quella Palermo è molto diversa da oggi. La città è cambiata molto. Eppure una cosa resta. L’incapacità di costruire un tessuto economico virtuoso che sostenga lo sport e tutto il resto. Soprattutto il mondo della cultura. E non è solo un problema di soldi, quelli in un certo senso ci sarebbero anche. In fondo Zamparini, in quanto straniero, è stata un’anomalia venuta da fuori. Un miracolo che non ci eravamo certo meritati e che per dieci anni ci ha fatto vivere momenti di calcio, che non avevamo mai visto». Il friulano che portò il Palermo dalla B alle soglie della Coppa Campioni e che andò via lasciandolo in serie C. Come lo ricorderemo? «Spesso resta nella memoria l’ultima cosa che fai, che cancella il resto. Specie in questa città. Forse, nei tempi d’oro, quando Palermo per tradizione si esalta e si accontenta della superficie, qualcuno avrebbe dovuto porsi la domanda su come costruire un progetto duraturo». Nel suo libro, quando parla di Zamparini si accenna all’altro grande dominus della città, il sindaco Leoluca Orlando. Un altro esempio della seduzione della provvidenza? «Sono due storie diverse. E poi, cosa di non poco conto, Orlando è il palermitano e Zamparini l’alieno. Non c’è somiglianza tra loro. L’analogia sta nell’atteggiamento dei palermitani nei confronti dell’uomo forte».