La Stampa: “Messina Denaro: «Bonafede uomo d’onore riservato». In manette il prestanome del boss tradito dal negoziante coraggioso”

L’edizione odierna de “La Stampa” si sofferma sul prestanome di Matteo Messina Denaro.

Tanto tuonò che piovve: sette lunghi giorni e alla fine ecco l’uomo che venne arrestato due volte, prima sotto le spoglie di Matteo Messina Denaro e poi le proprie, quelle di Andrea Bonafede, 59 anni, di professione geometra e prestanome-prestatutto del superlatitante più ricercato d’Italia. In cima alla rete di protezione fra Campobello di Mazara e Castelvetrano gli inquirenti collocano Bonafede, l’uomo che aveva dato carta d’identità, auto, bancomat, un appartamento e chissà cos’altro a Messina Denaro. Ha provato, dal momento dell’arresto del boss, a fare qualche ammissione, Bonafede: finendo però per incartarsi ancora di più, convincendo il procuratore Maurizio De Lucia, l’aggiunto Paolo Guido e i sostituti Pierangelo Padova e Alfredo Gagliardi a contestargli l’associazione mafiosa.

Ieri pomeriggio il Ros ha eseguito la misura, dando una conclusione allo stillicidio di perquisizioni, ispezioni e ritrovamenti di tracce del latitante. Totalmente a disposizione del boss, scrive nell’ordinanza di custodia il Gip Alfredo Montalto, anche perché «uomo d’onore riservato». Non è un ruolo qualsiasi, quello di prestanome, non ci si affida al primo che passa, eppure Bonafede aveva tentato di convincere gli inquirenti di avere incontrato casualmente, circa un anno fa, Messina Denaro, «e di avere ricevuto una prima richiesta di aiuto in ragione dei gravi problemi di salute di cui il latitante affermava di soffrire». Due giorni dopo la consegna dei documenti al capomafia responsabile delle stragi del ’92-’93: la carta d’identità però poi sarebbe stata restituita, sempre secondo la versione di Bonafede. Di richiesta in richiesta, l’acquisto dell’appartamento di via Cb 31, vicolo San Vito, a Campobello.

Il medico di famiglia, il dottor Alfonso Tumbarello, anche lui indagato, non avrebbe saputo: Bonafede gli avrebbe chiesto alcune ricette per Messina Denaro, ma sempre senza dirgli niente, come se il tumore lo avesse veramente lui. Credibile? Assolutamente no. E agli inquirenti è bastato vedere che la prima operazione chirurgica del latitante risale al 13 novembre 2020, per smentire categoricamente che i due si fossero incontrati solo nel 2022: perché il ricovero era stato fatto già due anni e mezzo fa a nome di Andrea Bonafede. E non solo: il 27 luglio 2020 Giuseppa Cicio, madre dell’uomo arrestato ieri pomeriggio, aveva comprato una Fiat Lounge e il 12 gennaio 2022 la stessa anziana donna l’aveva data in permuta per comprare la Giulietta nera targata.

Si tratta dell’auto trovata domenica nel recinto di un terreno di Campobello di proprietà di Antonino Luppino, figlio di Giovanni, l’autista catturato assieme a Messina Denaro a Palermo. Da qui la certezza di un rapporto duraturo, confermato dalla «meritevole segnalazione di un rivenditore di autovetture», Giovanni Tumminello, che giovedì scorso si è presentato dai carabinieri per dire che quell’auto intestata alla signora di 86 anni l’aveva comprata personalmente, «in modo tracciabile e non in contanti», un signore che si era presentato come Andrea Bonafede, ma che in realtà aveva le sembianze di Matteo Messina  Denaro. Nel lungo elenco di oggetti sequestrati dai carabinieri del Ros e dai militari del comando provinciale di Trapani c’è anche una conferma della pista raccontata da La Stampa due giorni fa, cioè quella della presenza stabile di una donna nella vita del superlatitante. Secondo indiscrezioni che filtrano dall’indagine nel vicolo San Vito scelto da Messina Denaro per nascondersi, c’erano anche abiti femminili. In quantità tale da far ritenere l’esistenza di una relazione consolidata. Così come per tutti gli anelli mancanti di questa storia anche su questo si stanno cercando riscontri. I militari cercano anche eventuali nascondigli ricavati all’interno dei covi fin qui scoperti con l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia.