Ceferin: «Italia, tornerai presto al top. Però sugli stadi servono garanzie»

L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sul calcio italiano e lo fa intervistando Ceferin.

«Certo che si gioca troppo. I club ne hanno bisogno per pagare stipendi e premi. Però siamo arrivati al limite…». Grosuplje, venti chilometri a sud di Lubiana. Una palazzina bianca di tre piani ospita lo studio legale Ceferin, fondato da Peter e dai figli Rok e Aleksander. Anche nonno Emil era avvocato. Aleksander ha 54 anni, cintura nera di karate, cinque viaggi in auto e moto lungo il Sahara, una moglie fotografa di guerra nell’ex Jugoslavia, tre figlie (una fa l’avvocato). Dal 2016 è il presidente dell’Uefa: negli anni della Superlega, del Covid, del calendario infinito.

Chi gliel’ha fatto fare?

«Nel 2011 il presidente sloveno si dimise e la federazione mi chiese aiuto. Da allora tutto è stato velocissimo, fino all’elezione Uefa nel 2016. Non pensavo che avrei dovuto lottare tanto, ma sono un privilegiato, ben pagato per un lavoro bellissimo: impossibile evitare lo stress tra calcio e politica».

Uno stress è il calendario internazionale.

«Tutti vogliono più partite di coppa. Nessuno rinuncia a niente. I club chiedevano dieci partite nel gruppo di Champions, saranno otto, il numero giusto. Sarebbero più utili campionati a 18 squadre, ma i presidenti non sono d’accordo. Dovrebbero capire che due coppe nazionali sono troppe».

Cosa dice a Klopp e Guardiola che si lamentano?

«Facile attaccare sempre Fifa e Uefa, ma il discorso è semplice: se giochi meno, gli stipendi si riducono. Chi dovrebbe lamentarsi sono gli operai in fabbrica a mille euro al mese».

Tra Uefa e i tre presidenti di Superlega non c’è dialogo.

«Con Agnelli niente. Ho incontrato Perez e ho rispettato il protocollo. Non posso pretendere che l’Uefa sia mia proprietà. In finale a Parigi eravamo accanto, mi sono congratulato, ma questo è tutto».

Ipotesi uno: per la Corte Ue la posizione Uefa è legittima. Due: è un monopolio. Cosa succede?

«Intanto non è mai un monopolio. Uno è libero di essere o meno nell’Uefa. Può partecipare alle nostre coppe, oppure organizzarsi le sue, ma allora è logico che non giochi le nostre, no? Quale che sia la decisione della Corte, non cambia niente: il progetto è morto perché nessuno vuole partecipare. Vedo solo tre persone arrabbiate con tutti, che portano tutti in tribunale, ma ormai è finita».

Sì, ma la Corte…

«Sarà una decisione molto importante dal punto di vista simbolico. Ma l’Ue difende il modello europeo, la ragione del successo del calcio. Abbiamo il sostegno di venti paesi, Italia compresa, e della Commissione. I migliori vengono dagli altri club, perché il sistema lo permette. La Disciplinare Uefa indipendente valuterà tutto».

Intanto c’è la nuova Champions dal 2024: un gruppo, 36 squadre. E polemiche. Perché sarebbe più bella?

«Oggi, dopo il sorteggio, si può già dire chi andrà agli ottavi. In futuro, le grandi giocheranno più partite contro altre big, le piccole avranno più chance di qualificarsi, il gruppo sarà combattuto fino alla fine. Sarà spettacolare, il 2024 è domani».

La Roma ha sollevato la Conference, il torneo più “inutile” che ci sia…

«Certi “geni” dicevano: “Perché questa coppa inutile!”. Quando s’è visto che Roma e Feyenoord erano da finale di Europa League, gli stessi “geni” hanno protestato perché la finale era in uno stadio piccolo… Un genio vero, José Mourinho, era commosso quando l’ho sentito».

Fatti e violenze di Parigi: chi sono i responsabili?

«Aspettiamo il rapporto indipendente. Ma temo che abbiano sbagliato tutti, anche l’Uefa. Vedremo in che percentuale. Una lezione per il futuro».

Altra critica: perché così pochi biglietti ai tifosi?

«Altro populismo. Per Real-Liverpool c’erano 20mila biglietti per squadra più altri 12mila: 52mila su 75mila totali. Se uno sponsor dà 150 milioni all’anno, e il 93,5% di questo va ai club, è uno scandalo dargli biglietti in finale? Conosce un’organizzazione che tiene per sé solo il 3% dei ricavi per stipendi e spese?… Mi sono rotto le scatole».

Il suo Pallone d’oro?

«Benzema».

Lei ha un ottimo rapporto con Psg e Al-Khelaifi, non proprio simboli di risparmio.

«Non ce l’ho con il Psg, ma con il presidente dell’Eca. Uno di quelli che ha capito e difeso il modello europeo, diversamente da alcuni presidenti europei».

La Roma vince la Conference, l’Italia l’Europeo, ma niente Mondiale: siamo pazzi o cosa?

«No, è che il calcio europeo è più equilibrato. Gli infortuni, la condizione, un errore, e sei fuori. Qualificarsi è dura: l’Italia ha tirato cinquanta volte, la Macedonia del Nord uno. Ma rinascerete presto».

L’Euro 2032 è a rischio?

«Non c’è uno stadio che possa ospitare una finale di Champions. Incredibile. La Turchia è un rivale forte. Ho parlato tanto con Gabriele (Gravina, ndr ), ma credo che anche governo e municipalità abbiano capito il valore di un Europeo. Sugli stadi servono garanzie forti prima».

Il nuovo Fair Play sarà un problema per i nostri club.

«Alcuni hanno problemi gravi. Ma non vogliamo ucciderli. Se presentano piani sostenibili, li aiuteremo in tutti i modi. La cosa importante è che non puoi spendere più del 70% dei ricavi per stipendi, commissioni e mercato. Il vecchio sistema ha annullato le perdite, questo punta a competitive balance e sostenibilità. Sono ottimista».

Contento degli arbitri?

«Il designatore Rosetti sta facendo un lavoro fantastico. Benissimo anche all’Europeo. Bene l’uso moderato della Var. Aiuta più di quanto pensassi».

Sì al challenge?

«Non serve, si verifica già tutto, porterebbe confusione. Il gioco è un flusso, il challenge potrebbe essere usato per fermare un’azione. Basta perdite di tempo: l’arbitro punisca subito e aumenti i recuperi. Niente tempo effettivo».

I rapporti con Infantino erano buoni, poi qualcosa s’è rotto.

«Se dico che abbiamo buone relazioni personali non è politica, è vero. Ma in passato non ha condiviso con noi alcune idee, prima di farle circolare sui media. Possiamo essere in disaccordo, ma prima parliamo, poi, se è il caso, litigheremo».

Presidenziali nel 2023: altri quattro anni di stress?

«Mi ricandido, ho già ricevuto 48 lettere di appoggio su 55 federazioni in una settimana».

E dopo la Fifa?

«No. Troppa politica. L’Uefa è calcio. Dovrei viaggiare tutto l’anno e lasciare la famiglia».

Il giocatore italiano che le piace di più?

«Bonucci: è verso fine carriera, ma resta un guerriero che non ha mai paura. E Donnarumma: un portiere incredibile».

Caressa “distrugge” il Renzo Barbera: «Sembra il campo di Testaccio. Impianto abbandonato a se stesso» (VIDEO)