Brandaleone: “Gasperini sceicco e Favalli faraone, anche i giocatori celebravano il carnevale”

L’edizione odierna del “Giornale di Sicilia” riporta l’editoriale del giornalista Carlo Brandaleone. Ecco quanto riportato: “Siamo ormai da qualche giorno a Carnevale, festività che per parecchi anni la squadra del Palermo celebrò goliardicamente secondo la più comune delle tradizioni, ovvero in maschera. Quel periodo possiamo chiamarlo la «Dolce vita» del calcio rosanero, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, quando al Palermo si vinceva poco ma ci si divertiva molto. Niente di male, anche se nel calcio ieratico di oggi quei «party» mascherati forse farebbero scandalo. Era un Palermo di forti personalità e in quelle feste durante il periodo di Carnevale era possibile incrociare Chimenti vestito da Pierrot, Gasperini con gli abiti di uno sceicco arabo, De Rosa con quelli da scolaretto, Cerantola con una tuta da scheletro o Magherini spadaccino. I tecnici non approvavano ma chiudevano un occhio, solo il rude Veneranda riuscì a interrompere per un anno la tradizione.

Una tradizione voluta fortemente da Erminio Favalli, che ospitò per anni le feste in maschera nella sua villa di Mondello. Sua moglie Laila confezionava personalmente i suoi vestiti e quelli del marito, che in quel modo ribadiva di anno in anno la sua leadership all’interno del gruppo. Del resto era a Palermo da più tempo di tutti. Era arrivato nel 1971 dal Mantova, quando aveva ventisette anni. Palermo fu la sua ultima squadra da calciatore, dopo avere vestito la maglia dell’Inter (dove non ebbe fortuna), del Foggia, della Juve con cui nel 1966 vinse lo scudetto e appunto del Mantova. Da calciatore a Palermo andò subito in A nel 1971 e disputò la finale di Coppa Italia del 1974, sbagliando uno dei rigori decisivi.

Lo chiamavano «farfallino» per come volteggiava in area, il suo dribbling era micidiale, la sua andatura sempre con i calzettoni alle caviglie era inconfondibile e, diciamolo pure, fu uno dei primi grandi «simulatori» del calcio italiano. Erminio Favalli era di Cremona, la sua partita più sentita restò sempre il derby tra la Cremonese e il Pizzighettone ma amò smisuratamente Palermo, da cui fu ricambiato. Giocò fino al 1978, poi in modo assolutamente inconsueto diventò il direttore sportivo del club rosanero, a soli 34 anni. Oggi sarebbe impensabile una cosa del genere. Ma Favalli – che nel 1981 andò per una domenica perfino in panchina, insieme con Zeman, quando Veneranda fu esonerato – aveva sposato totalmente la causa del Palermo. In tredici anni di permanenza conobbe ogni angolo e ogni personaggio di questa città. E fu anche grazie a lui che in quei periodi di vacche magre, durante il passaggio da Barbera a Gambino, il club rosa riuscì a tirare avanti. La sua famiglia era benestante, la sorella aveva una piccola industria a Cremona e spesso Erminio faceva fronte personalmente alle esigenze della società pagando gli stipendi agli ex compagni.

Non fu mai un rigoroso manager, piuttosto un grande trascinatore. Dalle feste in maschera a Palermo ai riti del calcio mercato era sempre lui a tenere banco, con la sua allegria e il suo carisma. Nel 1984, quando il Palermo retrocesse in C-1 tornò a casa, Luzzara lo volle a dirigere la Cremonese che era stata promossa a sua volta in C-1. E alla Cremonese Favalli ci restò 20 anni, lanciando giocatori come Gianluca Vialli e Attilio Lombardo. Nel suo piccolo era un fuoriclasse. Morì a soli 64 anni nell’aprile del 2008, pagò in un solo giorno gli eccessi di una vita giocata sempre sul filo del fuorigioco in cerca del gol decisivo. E a Palermo uno come Erminio Favalli non c’è più stato”.