Repubblica: “Sicilia, disastro bacini fango nell’acqua. Cercansi zattere per il filtraggio”

L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sulla crisi idrica in Sicilia.

Dopo le navi delle forze armate per mitigare gli effetti dell’emergenza che rischia di lasciare a secco l’Isola, adesso la Regione confida nelle zattere. Perché se il primo nemico della carenza d’acqua nei rubinetti dei siciliani è la siccità e il secondo sono le reti colabrodo in cui si disperde la metà della fornitura idrica, c’è un terzo elemento che desta preoccupazione dalle parti di Palazzo d’Orleans: il cosiddetto volume morto.

Quell’insieme, cioè, di fanghi e detriti sedimentati sui fondali degli invasi siciliani che non consentono l’utilizzo di tutta l’acqua contenuta nelle dighe. L’esempio più eclatante è a Caccamo, nella diga Rosamarina, dalla quale arriva l’acqua per tutta la costa sud di Palermo. Sulla carta, la diga ha una capienza di 72,3 milioni di metri cubi d’acqua. Le stagioni aride di piogge hanno comportato un progressivo impoverimento dell’invaso, che attualmente segna quota 21,5 milioni di metri cubi.  Già così il quadro sarebbe allarmante in vista dell’estate, dell’ulteriore innalzamento delle temperature e dei significativi flussi turistici nell’Isola. Ma l’acqua effettivamente prelevabile, al netto dei detriti che rendono inutilizzabile la restante parte, è di appena 10 milioni e mezzo di metri cubi. Troppo pochi per garantire il fabbisogno potabile e agricolo richiesto all’invaso.

In quell’area si sta attivando il depuratore di acque reflue di Cefalù per utilizzare il prodotto depurato in agricoltura, ma nel frattempo anche l’acqua per la piana di
Buonfornello arriva da Caccamo. Non va meglio a Lentini, nella maxi-diga da 100 milioni di metri cubi nel Siracusano: sulla carta, il volume residuo è quasi dell’80 per
cento, ma la parte effettivamente utilizzabile scende al di sotto del 50 per cento della sua portata. La situazione più drammatica è a Ogliastro, al confine tra Enna e Ramacca, ridotto a un enorme bicchiere quasi vuoto: la portata è di 100 milioni di metri cubi, sulla carta sarebbe piena per meno di un quarto, ma a causa dei detriti l’acqua effettivamente fruibile è di appena 680mila metri cubi.

Complessivamente, la Sicilia ha bacini per riserve d’acqua capaci di contenere 708 milioni di metri cubi: gli invasi sarebbero pieni per poco meno della metà, 313 milioni di metri cubi. Ma l’attuale disponibilità d’acqua, al netto dei sedimenti, all’ultima rilevazione del 18 marzo era di 178 milioni e mezzo di metri cubi. Appena il 25 per cento della portata degli invasi. Per questo, nella richiesta di stato di emergenza per la siccità i tecnici inseriscono anche gli interventi delle zattere galleggianti. Un sistema che di norma viene utilizzato nei casi più gravi di frane, laddove il livello dell’invaso viene limitato e il potabilizzatore non riesce a immettere acqua. In quei casi  si interviene attraverso le zattere galleggianti, che attivano un sistema di pescaggio delle acque utilizzabili per ripulire, successivamente, il letto dell’invaso. Decenni di mancata manutenzione dei fondali delle dighe siciliane hanno comportato un effetto domino che adesso obbliga a intervenire in regime emergenziale.