Repubblica: “Mercato extralarge per le big Italiane. Ecco come è possibile effettuare 145 operazioni…”

Quando la Juventus ha depositato il contratto di Tomas Rincon, ha registrato anche il centesimo giocatore sotto il proprio controllo. Ventisette atleti in rosa, qualche aggregato come il baby Kean, decine di ragazzi di proprietà spediti in prestito per giocare: nell’era delle rose da 25 elementi imposte dalla Federcalcio, nostra Signora del calcio italiano potrebbe serenamente contare su quattro squadre complete senza dover mettere mano al portafogli. Un paradosso. Rincon è infatti il 145° contratto movimentato dall’estate a oggi. E in mezzo c’è di tutto: 66 cessioni remunerative, 8 svincoli, 55 rientri dalle cessioni temporanee e 17 acquisti. Anzi 18, con il mediano venezuelano arrivato dal Genoa. Fin troppo facile rievocare la famosa “pesca a strascico” del Parma di Leonardi e Ghirardi pagata a carissimo prezzo dalla società: ma il controllo a tappeto e prolungato di giovani del vivaio (e non solo) è pratica straordinariamente diffusa in Italia. L’Atalanta ha visto esplodere Caldara (ceduto già alla Juve) e Gagliardini (preso dall’Inter) dopo varie esperienze fuori. Per questo motivo oggi ha a bilancio oltre 80 calciatori, molti impegnati lontano da Bergamo. E soltanto la scorsa estate ha movimentato più di 100 contratti. L’Inter ne ha mossi altrettanti e controlla più di 60 atleti, come pure il Chievo. Chi ha settori giovanili produttivi punta a mantenere un diritto sui ragazzi che ne escono, anche in forma “mascherata”: la Roma ha una sessantina di giocatori sotto controllo, ma in qualche caso ha venduto assicurandosi il diritto di riacquisto attraverso una scrittura privata. Pellegrini e Mazzitelli del Sassuolo sono i casi più noti. Perché se è vero che un De Rossi o un Totti sono riconoscibili già a 18 anni, ci sono ragazzi — e a Roma conoscono bene l’esempio di Florenzi — su cui inizialmente avrebbero scommesso in pochini (a 20 anni compiuti l’esterno era ancora in Primavera) ma dopo un’esperienza lontano da casa esplodono fino a diventare punti di riferimento della squadra. Discorso analogo per Marchisio, ventenne capitano della baby Juve al Torneo di Viareggio nel 2006, e solo dal 2008, dopo un anno a Empoli, protagonista davvero anche con i grandi. Club come Genoa e Sampdoria, Udinese e Pescara stanno seguendo lo stesso esempio e hanno già più di 50 calciatori sotto il loro ombrello. Così fan tutti, in serie A. Smania di controllo, il timore di lasciar andare la gallina dalle uova d’oro che ingolfa i bilanci con stipendi superflui e aumenta i costi dei diritti di formazione nella speranza spesso inutile di una sorpresa. Concedendo l’unico vantaggio di un potere da esercitare nei confronti dei club che dipendono, per disputare un campionato, dai prestiti delle grandi. A cui sono ovviamente orientate a cedere i pezzi pregiati della loro cantera. All’estero, al contrario, la pratica è decisamente démodé: merito delle seconde squadre.
In Spagna, Germania e Inghilterra l’idea di far crescere i giovani in casa facendoli maturare in categorie inferiori è forte: il Barça B e il Real Castilla giocano in terza serie e hanno prodotto Iniesta, Messi e Morata, il Bayern II nella Regionalligen in Germania ha lanciato un certo Thomas Müller. La Premier ha introdotto da anni il campionato riserve: non a caso lo United ha fuori in prestito 2 calciatori appena, altrettanti il Liverpool, 3 l’Arsenal. Insomma, l’Europa si è mossa per trovare alternative mentre in Italia nonostante i propositi pre-elettorali di Tavecchio, nessuno si è davvero preoccupato di trovare un modo per arginare la pratica della cessione in prestito perenne. Che serve alle società per estendere il controllo dei baby calciatori spesso fino ai 24 anni (Juve e Roma lavorano a forme di controllo a distanza). E che soprattutto penalizza i ragazzi, mai favoriti dai club che non sono proprietari del cartellino e spesso sbolognati dopo 6 mesi appena per far posto a calciatori di proprietà. Di esempi è piena la Lega Pro, ma da qualche mese se ne può discutere anche con un protagonista della serie A. Chiedete a Gianluca Lapadula: prima di trasformarsi nel cannoniere dell’ultima serie B con trenta gol stagionali e diventare la stellina dell’ultimo mercato estivo strappato dal Milan alla concorrenza al prezzo di nove milioni di euro, era stato per cinque anni un pacco postale. Il Parma proprietario del cartellino lo spedì all’Atletico Roma per sei mesi nel 2010, poi da gennaio 2011 a Ravenna per far posto a qualcun altro. Altri sei mesi e poi via per San Marino, un anno dopo a Cesena ma solo per mezza stagione, prima di traslocare al Frosinone, e ancora il Gorica e il Teramo. Dov’è esploso, curiosamente in concomitanza col il flop del club abruzzese. Avesse avuto una squadra B, magari il Parma avrebbe fatto in tempo a vederlo sbocciare in casa“. Questo quanto si legge nell’edizione odierna de  “La Repubblica”.