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Home - Non Solo Pallone - Repubblica: “Azzolina «Scuola sicura, non deve chiudere. La Campania ci ripensi»”

Repubblica: “Azzolina «Scuola sicura, non deve chiudere. La Campania ci ripensi»”

18 Ottobre 2020 Non Solo Pallone di Redazione Ilovepalermocalcio
Redazione Ilovepalermocalcio

Tiene banco in Italia la questione legata alla chiusura delle scuole per l’emergenza Coronavirus, la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, è totalmente contraria a questa idea. L’edizione odierna di “La Repubblica” ha fatto il punto della situazione intervistando la stessa ministra.

Di seguito le dichiarazioni di Lucia Azzolina:


«Pensavano fosse un rigore a porta vuota. Credevano di poter chiudere le scuole, vanificando l’immenso lavoro fatto quest’estate e gli stessi sacrifici dei ragazzi, senza che ci fosse alcuna reazione. Ma hanno trovato un’intera comunità fatta di docenti, personale scolastico, famiglie, studenti, pronta a parare». La ministra dell’Istruzione Luzia Azzolina è convinta che Vincenzo De Luca dovrà tornare sui suoi passi. E soprattutto, che le altre Regioni non potranno seguirlo: «Perché è il paradigma a dover cambiare: i giovani non possono venire sempre dopo tutto il resto».
Il governo sta per varare nuove restrizioni per affrontare l’emergenza Covid. Cosa accadrà alle scuole?
«Le scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado devono restare assolutamente e completamente aperte come lo sono oggi in quasi tutt’Italia. Per la secondaria di secondo grado, le superiori, può accadere quel che già sta accadendo: vorrei dare una notizia, la didattica a distanza è già utilizzata».
Non abbastanza, secondo alcuni presidenti di Regione e parte del governo.
«Ogni scuola si sta organizzando suddividendo le classi, ruotando, alternando. Questa cosa si fa già.
Vogliamo implementarla?
Benissimo. Ma non significa che possa essere generalizzata per intere classi e per tutto il tempo».
Non pensa che invece questo aiuterebbe a far sì che regga tutto il sistema?
«Chi deve fare l’esame di Stato non è meno importante di chi sta facendo la scuola dell’infanzia. Saranno i dirigenti a decidere come fare didattica digitale, in base alle esigenze del territorio. Mi è arrivato un comunicato dell’Ancodis, l’associazione dei collaboratori dei dirigenti scolastici: parlano di un’aggressione alla scuola, “che si sta facendo apparire ingiustamente luogo di diffusione del virus mentre non si interviene responsabilmente sugli altri anelli debolissimi del sistema”. Sono d’accordo. In queste ore c’è un assalto alla scuola e questo non può far altro che ledere il diritto all’istruzione».
Da chi proviene quest’assalto?
«Da tutti coloro che non riconoscono che quest’estate la comunità scolastica era a scuola col metro in mano a misurare, mettere la segnaletica per mantenere il distanziamento, creare orari scaglionati. E che tutto questo ha funzionato, perché nelle scuole ci sono pochissimi focolai. I nostri dati sono validati dall’Istitutisto superiore di sanità secondo cui la scuola è un luogo sicuro. Se ci sono problemi fuori dalle aule, a pagarli non possono essere gli studenti».
Perché invece si parte da lì come ha fatto De Luca, secondo lei?
«Perché è una scorciatoia, come mettere la polvere sotto il tappeto. Si pensa che non sia un costo e invece è elevatissimo e mina il futuro del Paese. Stiamo parlando di far esplodere un problema che già abbiamo tantissimo come la dispersione scolastisca. In alcuni territori le scuole non sono solo luogo di apprendimento, ma un posto dove si impara la legalità. Io ci sono stata in Campania. Lì la scuola non è meno importante del pane. Chiuderla significa prendere quei bambini e sottrarre loro un pezzo di futuro enorme, non lasciargli speranza».
Cosa si augura che accada?
«Che riaprano. Se bisogna organizzare più didattica a distanza, se bisogna lavorare sugli orari, sediamoci, parliamone. Ma non lasciamo quei bambini e quei ragazzini per strada. Mi fa rabbia perché non si tratta solo degli sforzi che ha fatto la scuola per riaprire, ma di quelli che quotidianamente fanno i ragazzi rispettando tutte le regole».
Ma ha parlato con De Luca?
«Io non sono stata avvisata né prima né dopo, il problema però non è mio, è di quelle famiglie che non hanno neanche avuto il tempo di organizzarsi, che non sapevano dove lasciare i loro figli. Non voglio farne un problema campano. Se questa cosa accadesse anche in altre regioni, le famiglie non potrebbero mai accettarlo. Se avessi migliaia di focolai nelle scuole potrei capire, ma non è così. In Francia ne hanno di più, e restano aperte. In Germania anche.
E noi? Quando abbiamo fatto le linee guida insieme alle Regioni, a giugno, avevamo assicurato che nessun disabile sarebbe stato lasciato a acasa in nessun caso. Né i figli di medici e infermieri. Tutto questo è stato violato. La scuola ha già tanto sofferto nei mesi scorsi, in questo momento dovrebbe essere l’ultima a chiudere».
Migliaia di ragazzini sono costretti a restare a casa anche per semplici raffreddori, la trafila dei tamponi è lunghissima. Non dovevate agire prima per evitarlo?
«Chiedo da tempo i test rapidi proprio per evitare che trafile e quarantene blocchino classi e famiglie».
Magari i soldi spesi per i banchi con le ruote era meglio spenderli in tamponi.
«Ma non è questione di soldi. Il commissario Arcuri ha comprato 5 milioni di test. Il punto sono l’organizzazione territoriale, la celerità, l’uniformità nelle procedure: bisogna andare anche nelle scuole a fare i test».
Vale per le Asl come per i trasporti? Non si potevano usare i pullman turistici come scuolabus?
«Si può, perché no? Ma quel che dico è, se ci sono criticità nei trasporti pubblici, cosa c’entrano i bambini?
Non sono certo solo gli studenti che si muovono».
Si poteva fare di più sugli orari.
Entrare alle 9 non cambia le cose.
«A Milano si entra anche alle 12. Ogni singola scuola fa un piano concordato col territorio».
Il Tar ha dato ragione al Piemonte sulla misurazione della febbre che va fatta a casa, non a scuola.
«Al Piemonte avevamo contestato un’ordinanza scritta a 4 giorni dall’avvio dell’anno scolastico — che infatti ha fatto infuriare dirigenti, docenti e famiglie — dopo aver disertato per tutta l’estate i tavoli regionali».
Davanti all’aumento dei contagi, il Pd chiede di rinviare il concorso nella scuola.
«Sfatiamo i miti. Il concorso della scuola si fa su tutt’Italia. Abbiamo migliaia di aule. In ogni laboratorio ci sono al massimo dieci persone. Tutte distanziate, con la mascherina, la misurazione della temperatura all’ingresso. La prova non dura 8 ore, ma 150 minuti. C’è un protocollo severissimo validato dal Cts che non è certo incline ad avallare rischi.
Quindi dico solo: sleghiamo il piano politico dal piano reale».
Sta dicendo che è una scusa per tentare di farlo saltare?
«Altrimenti non si spiega perché non vengano messi in discussione tutti gli altri concorsi».

Tags:coronavirus

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