Repubblica: “Arsène Wenger: «Mondiali ogni 2 anni, i giocatori sono con me»”

L’edizione odierna de “La Repubblica” ha riportato un’intervista ad Arsene Wenger in merito alla proposta di giocare i mondiali ogni due anni.

L’uomo che vuole cambiare il calcio non è un rivoluzionario: «Evoluzionario, direi». Eppure Arsène Wenger e il suo progetto di un Mondiale ogni due anni continuano a dividere.

Wenger, quando ha deciso di avviare questa rivoluzione?
«Non è una rivoluzione, piuttosto un’evoluzione necessaria: tutti sembrano d’accordo sul fatto che il calendario vada riformato, nessuno è contento dello status quo».

Proviamo a sintetizzarla?
«Raggruppare le qualificazioni in una o due finestre internazionali e lasciare per il resto della stagione i giocatori con i loro club: meno interruzioni dei campionati, meno viaggi per i giocatori. Ci sarebbero meno giorni per le nazionali durante l’anno, ma si creerebbe lo spazio per una grande competizione alla fine della stagione, Mondiale o Europeo. E poi un periodo di riposo obbligatorio di 25 giorni per i giocatori prima dell’inizio della nuova stagione».

Così non perderanno di valore le nazionali?
«Io propongo di “pulire” il calendario ed eliminare le partite che hanno perso significato. Un modo più moderno di organizzare il calcio».

È anche l’idea della Superlega: ci sono analogie col vostro progetto?
«C’è una differenza fondamentale: il mio obiettivo non è quello di creare un circolo chiuso ed esclusivo, ma di rendere il calcio più inclusivo, dando più opportunità a tutti i Paesi. Delle 211 federazioni, 133 non hanno mai partecipato a una Coppa del Mondo. Con edizioni più frequenti, avrebbero più possibilità».

È quasi una battaglia tra rivoluzionari e conservatori.
«Non credo che ci sia una battaglia qui. Anzi, questa proposta può rendere felici tutti: i giocatori, i tifosi, i club, le leghe, le squadre nazionali.

Ma che ne pensano i calciatori?
«Abbiamo consultato un certo numero di top player e so che i giocatori preferirebbero disputare più partite importanti, piuttosto che amichevoli. Quasi tutti i migliori poi giocano in Europa: sudamericani, africani, asiatici devono volare per oltre 300 mila chilometri in quattro anni. I viaggi ripetuti, lo shock climatico, il jet lag, sono un peso enorme. La mia priorità sono i calciatori».

Si dice che il pubblico giovane segua sempre meno il calcio.
«È vero, le giovani generazioni hanno un modo diverso di seguire il calcio. Un tempo le amichevoli internazionali erano una grande cosa, oggi ai tifosi interessano poco. Idem le qualificazioni. Il pubblico vuole le gare a eliminazione diretta. Ho letto delle proposte di riforma per la Serie A, alcune delle idee hanno delle somiglianze con quello che penso io: meno partite ma più significative. Quindi non sono l’unico che ci sta riflettendo».