Proprietà straniera e nuovi fondi in Italia. Foschi: «Servono anche presidenti passionali come Zamparini. City Group…»

L’edizione odierna di Tuttosport riporta le parole di Foschi in merito al Palermo e al City Group.

A Torino-Milan è (anche) la partita tra una proprietà classica e una dei giorni nostri. Da un presidente all’antica, alla modernità
dei fondi. Rino Foschi, navigato dirigente che ha vissuto in prima persona ogni cambiamento nel mondo del calcio, senza peli sulla lingua e con la schiettezza che lo contraddistingue, spiega: «Una volta c’era una certa passione, mentre le proprietà di oggi hanno invece la passione nel business. Non c’è l’attaccamento alla maglia, ma senza di loro saremmo messi peggio. Io sono sempre dalla parte dei Cairo, degli Agnelli, dei De Laurentiis, ma in Italia c’è bisogno di gente che investa. Attenzione, però, non tutti i fondi sono in grado di fare bene. E sinceramente non so fino a quanto trend durerà».

Una sfida nella sfida. «Il Torino mantiene la categoria, anche se sicuramente i tifosi non sono contenti, dato che dall’altra parte c’è la Juventus. Cairo però sta facendo bene, la società non è indebitata, ha fatto cose pregevoli, sta migliorando. È uno che non butta via i soldi, non si rovina, né vuole far fallire la società, come già accaduto. Avercene di Cairo. Il Milan invece ha cambiato. Doveva entrare un gruppo molto importante, ma appena hanno visto che non si potesse costruire rapidamente lo stadio nuovo, hanno mollato. Poi è arrivato RedBird».

Quali possono essere i pregi e i difetti maggiori di una proprietà col presidente classico? E quelli invece dei fondi? «Io dico solo che oggi non è più il calcio degli anni ’80 e ’90. È un’altra cosa. Dove andremo? Non lo so. È doveroso ricordare che pure in passato ci siano stati tanti fallimenti. Ma oggi è tutto business. Per me demolire San Siro sarebbe come buttare giù la Scala. Io ho sempre lavorato con la passione, come le dicevo. E con presidenti passionali, alla Zamparini».

Con lui costruì un Palermo fortissimo, capace di meritarsi l’Europa. Oggi i rosanero appartengono ad un fondo. Che effetto le fa? «Noi abbiamo riportato il Palermo in serie A dopo 34 anni, sfiorando pure la Champions League. Avevamo in squadra diversi giocatori che sarebbero diventati campioni del mondo. Successivamente ho fatto anche il presidente, oltre al direttore sportivo. La società era stata venduta ad un gruppo inglese e io credo pensassero solo al loro bene. Resto confuso, amareggiato, molto arrabbiato per quanto successo all’epoca, fu un’ingiustizia incredibile. Ovviamente il City Group non c’entra nulla con quanto accaduto».

Vorrebbe lavorare per un fondo? «Per forza, ma solo in un certo modo. Oggi non si capisce se la figura del ds sia più importante, o meno, di quella del procuratore o del procacciatore di affari. È cambiato tutto. E quelli che la pensano come me sono un po’ scomodi»