L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sulla scomparsa di Maurizio Zamparini.

Nato in Friuli, imprenditore di successo in Lombardia e primo presidente a qualificare il Palermo nelle coppe europee modernamente intese. Maurizio Zamparini se ne è andato ieri notte a ottant’anni. Era ricoverato alla clinica Villa Maria Cecilia di Cotignola, Ravenna. «Ci ha lasciato dopo una breve malattia», ha spiegato la moglie Laura Giordani. Zamparini aveva resistito a molti urti, forse gli è stato fatale il dolore per la scomparsa del quinto figlio, Armando, ad appena 23 anni, nell’autunno scorso. Un’angoscia insopportabile, per qualunque genitore.

L’imprenditore Nato a Sevegliano, nel comune di Bagnaria Arsa, vicino a Palmanova, in Friuli, lo Zamparini bambino scopre il calcio da una finestra di casa sua, affacciata sul campo del paese. La zia, sposata con un inglese, gli regala un pallone di cuoio comprato in Scozia. Il resto viene da sé. Maurizio gioca, è un trequartista secco e tecnico, arriva ai dilettanti, ma il lavoro lo chiama presto. Il papà Armando emigra da solo in Venezuela, per lavorare come operaio ai motori di navi e aerei. La famiglia rimane in Italia: la mamma Silvana è sarta, il nonno Ernesto, capostazione delle ferrovie, diventa il papà-bis. Maurizio ragazzo fa l’apprendista fabbro e saldatore. Poi si mette in proprio, costruisce marmitte, caloriferi, telefoni. Si trasferisce in Lombardia, a Milano, alla Bovisa, poi nel Varesotto. Entra nel commercio, intuisce che i grandi magazzini popolari diventeranno dei templi del consumo di massa e nel 1972 a Vergiate, Varese, fonda il primo EmmeZeta, le sue iniziali per un mercatone a prezzi convenienti cui ne seguiranno altri 18. Li venderà ai francesi di Conforama nel 2001 per circa mille miliardi di lire, però non uscirà mai fino in fondo da questo business, inaugurerà altri centri commerciali, per esempio il Conca d’oro a Palermo nel 2012, ribattezzato ZampaCenter.

Le squadre Pordenone, Venezia e Palermo sono le tre squadre possedute da Zamparini in oltre 30 anni di calcio, tra il 1986 e il 2018. Friuli, Veneto e Sicilia. Il Pordenone, in C2, gli serve come porta d’ingresso. Il Venezia gli regala la prima notorietà: lo fonde con il Mestre e ne nasce una sollevazione popolare; lo prende in C1 e lo porta in Serie A. Il Palermo rappresenta la consacrazione: non solo la Serie A, anche cinque partecipazioni in Coppa Uefa/ Europa League, preliminari inclusi, e una batteria di giocatori di livello superiore: Toni, Cavani, Dybala, Barzagli, Corini, Zaccardo, Grosso, Barone, Miccoli, Ilicic, Belotti, Balzaretti, Sirigu, Amauri, Pastore, Kjaer, Vazquez, per citare i più noti. Zamparini capisce di pallone e Rino Foschi, il direttore sportivo, è il suo braccio sul mercato: «È morto un fratello – ha detto ieri Foschi -, noi due eravamo una cosa sola. Dopo la scomparsa del figlio si è lasciato andare piano piano». Gli anni belli però passano in fretta, il calcio diventa troppo costoso e per il signor EmmeZeta i guai si moltiplicano. Zamparini comincia un tormentato percorso di vendita del club, tra compratori improbabili, anche un ex delle Iene fidanzato con una velina di Striscia, e/o insolventi. Zamparini finisce sotto indagine e sotto processo per reati societari e di vario tipo, falso in bilancio e auto-riciclaggio, subisce l’onta dei domiciliari. Il Palermo fallirà con un’altra proprietà e ripartirà dalla Serie D. L’epilogo triste di una storia grande.

Gli allenatori Quanti allenatori ha avuto Zamparini? Calcolo arduo, troppi intrecci. Molti sono stati cacciati e richiamati. Alcuni statistici parlano di 66 allenatori e di 51 esoneri. Non è chiaro neppure chi sia stato il primo a essere “sollevato” da Zamparini. Molte fonti convergono su Ferruccio Mazzola, fratello di Sandro, nel Venezia 1987-88, ma il Pordenone 1986-87, di proprietà zampariniana , fece registrare una triangolazione di tecnici sospetta, prima Michele De Rosa, poi Marino Lombardo e di nuovo De Rosa. L’ultimo scelto è stato Roberto Stellone nel Palermo 2018-19. Tra le due estremità una batteria di allenatori da Serie A, tra venerati maestri, vecchie lenze e giovani leoni: G.B. Fabbri, Zaccheroni, Ventura, Maifredi, Novellino, Spalletti, Prandelli, Sonetti, Guidolin, Delio Rossi, Colantuono, Del Neri, Iachini, Pioli, Cosmi, Gasperini, Malesani, Ballardini, Zenga, De Zerbi, Gattuso… Qualcuno di loro con Zamparini è durato quanto un gatto in tangenziale, qualcun altro di più e poi è stato ripreso. Pochissimi, (forse nessuno?) ne hanno parlato male, perché, come ci disse fuori intervista un allenatore, «Zamparini è un padre padrone, si intromette nelle scelte di formazione, ma paga tutti fino all’ultimo euro». Le ragioni dei suoi allenatoricidi , scusate il neologismo, si trovano nelle interviste d’epoca. Ecco una sintesi dello Zamparini-pensiero sul tema: «In Italia c’è un sistema feudale di gestione dei patentini, troppo protezionismo. Gli allenatori sono una casta, non accettano il dialogo con i presidenti, sembra che di calcio capiscano soltanto loro. Quando il bilancio di un mio mercatone si chiude con il segno meno, io ne licenzio il direttore. È la legge dell’economia e dell’aritmetica». Severo, ma logico. E vulcanico? Sì, dai: «Io sono focoso e perfezionista».