Italia a Palermo L’accusa: “Renzo Barbera sembrava una sala giochi di Bogotà. Giusto uscire dal Mondiale”

Sull’edizione online de “Il Corriere della Sera” è apparso un articolo non proprio delicato nei confronti dello stadio “Renzo Barbera” di Palermo. Il giornalista che l’ha scritto, mette in evidenza le molte criticità strutturali dell’impianto di Viale del Fante, raccontando la sua esperienza in occasione di Italia-Macedonia.

Ecco l’articolo in questione:

“Tutti a spiegare la baracca del calcio italiano (inteso come sport, movimento, sistema, industria, business). Ma se vogliamo una sintesi plastica, tremenda e oggettiva, di quanto siamo inguaiati, è sufficiente restarcene a Palermo. Nel ricordo di giovedì notte. Con la turpe partita degli azzurri sul campo e poi anche e soprattutto con il colpo d’occhio su ciò che c’è fuori.

Sulle tribune e nella pancia del Renzo Barbera, già gloriosa Favorita, luogo designato dalla Federcalcio per l’indimenticabile spareggio: uno stadio preistorico per gli standard europei, pietrificato ai Mondiali di Italia 90 (come, del resto, molti altri impianti). E quindi fatiscente. Con mura marce. Pozzanghere di melma giallastra. Balaustre rugginose. Gradoni insicuri. Fili elettrici penzolanti. Bagni infetti: un water per mezza tribuna, la porta scassata, lo sciacquone scassato, e donne e uomini avvolti nei tricolori dentro la stessa, mortificante fila. Che si congiunge a quella del bar, una specie di bar. Cannoli serviti a mani nude, l’incasso in nero, una cassetta colma di banconote, una tipa sfacciata: «Qui di scontrini non ne facciamo. Lo vuole o no, il caffè?».

Alla fine il cittì Mancini (fragile, stordito, un pianto imminente) e il presidente Gravina (barcollante, maschera di rughe profonde, la voce afona) vengono condotti in una stanza che dovrebbe essere la sala stampa: pareti con la carta strappata, tanfo di chiuso, neon ingrigiti, steward che fumano, un vigile urbano che mangia il suo trancio di sfincione, mascherine abbassate, bottigliette rovesciate, sedie sbilenche come nemmeno in una sala giochi di Bogotà. Questo è lo stadio della quinta città italiana. Questo è il nostro calcio. E allora no, non ce li meritiamo nemmeno stavolta i Mondiali. Ma non solo perché, a ripensarci, forse Pellegrini e Tonali e magari Scamacca avrebbero potuto giocare dall’inizio. È la nostra idea di pallone che è vecchia, malata, in agonia”.