Il vecchio Palermo e l’istanza di fallimento: “Il giudice Sidoti non fu corrotto”

Il giudice e il vecchio Palermo “Giuseppe Sidoti non fu corrotto”, esordisce così “Livesicilia.it”, che analizza la questione relativa all’istanza di fallimento del vecchio Palermo, in cui il giudice Giuseppe Sidoti fu accusato di corruzione. Ecco quanto riportato: “Una forzatura interpretativa di evidenza assoluta”. Basta questa frase, scritta a pagina 11 delle 15 in cui si articola la motivazione, per rendersi conto che la Cassazione ha picconato l’intero impianto accusatorio. Giuseppe Sidoti, il giudice del Tribunale che respinse l’istanza di fallimento del vecchio Palermo calcio, non doveva essere sospeso perché “in nessun modo è possibile far discendere l’esistenza di un patto corruttivo”. La corruzione, ipotizzata dalla Procura di Caltanissetta, non c’è stata. Ecco perché nei mesi scorsi i supremi giudici avevano annullato, senza rinvio, la sospensione imposta al giudice in servizio a Palermo. Ora sono state depositate le motivazioni firmate dal presidente Anna Petruzzellis e dal relatore Andrea Tronci. La corruzione non esiste “ben potendosi inquadrare il fatto in seno ad altra ipotesi di reato (l’abuso di ufficio) che non legittima il ricorso allo strumento captativo”. Sidoti non doveva neppure essere intercettato. Il giudice resta comunque sospeso in via cautelare e disciplinare dal Consiglio superiore della magistratura. Fu proprio un’intercettazione che diede il via all’inchiesta. I pubblici ministeri di Palermo che indagavano su Maurizio Zamparini lo intercettarono mentre il suo avvocato, Francesco Paolo Di Trapani, gli spiegava di avere parlato con Sidoti. L’intercettazione, coinvolgendo un magistrato in servizio nel capoluogo siciliano, fu trasferita per competenza ai pm nisseni che aprirono l’indagine ritenendo che Sidoti avesse rassicurato Di Trapani sull’esito favorevole del procedimento. I legali di Sidoti, gli avvocati Monica Genovese e Matias Manco, hanno sempre sostenuto che il magistrato non aveva compiuto alcun atto contrario ai doveri di ufficio perché “non è irrituale, anzi fa parte delle prerogative del giudice, fornire indicazioni per evitare il fallimento”. Dalle parole dei protagonisti non emergevano ipotesi di reato. Si era trattato di una legittima interlocuzione. Il Riesame accolse in parte la tesi difensiva, riducendo a sei mesi l’iniziale sospensione di un anno, derubricando l’accusa di corruzione da propria a impropria. E cioè si sarebbe trattato di una corruzione per esercizio della funzione e non per compiere un atto contrario ai doveri di ufficio. Sia la difesa che la Procura hanno fatto ricorso in Cassazione. Lo scorso aprile sono state annullate senza rinvio l’ordinanza di custodia cautelare e quella del Riesame. Anche per l’ex presidente della società rosanero, Giovanni Giammarva, l’altro protagonista del presunto patto illecito, c’è stato l’annullamento. Alla conversazione fra Di Trapani e Zamparini ne seguirono altre che costituirono l’ossatura dell’ordinanza di sospensione firmata dal Gip di Caltanissetta. Sidoti, una volta rigettato il fallimento, avrebbe poi ricevuto favori e utilità da Giammarva: un incarico da mille euro mensili nel comitato etico della  società rosanero per una donna, la promessa di un lavoro per il fratello di lei e avvocato, pass per parcheggiare l’auto allo stadio Barbera ed accedere alla sala vip, l’ingresso all’aula bunker per una classe di studenti in occasione della celebrazione del 23 maggio 2018 per ricordare Giovanni Falcone e gli agenti di scorta (Giammarva è genero di Maria Falcone). Ebbene, annotano i giudice della Cassazione, lo stesso Tribunale “con un ragionamento niente affatto lineare, ammette che possa trattarsi di mere regalie, dettate da ragioni di cortesia”, salvo poi farle rientrare fra i presupposti per la contestata corruzione, mostrando “una palese e non superabile lacuna del ragionamento”. È vero che le intercettazioni non potevano essere fatte, ma è soprattutto nel merito, dunque, che l’accusa viene spazzata via: “In conclusione, la circostanza che Giammarva abbia potuto o voluto compiacere Sidoti non postula affatto, allo stato, in assenza di elementi ulteriori in atti, il patto illecito che è alla base dell’ipotizzata fattispecie incriminatrice, che deve essere connettersi causalmente all’azione del Pubblico ufficiale”. Anche perché non bisogna dimenticare che a decidere sull’istanza di fallimento non fu il solo Sidoti, ma un collegio di cui facevano parte il presidente Giovanni D’Antoni e Raffaella Vacca. E c’era pure una perizia collegiale a dire che il vecchio Palermo targato Zamparini non doveva fallire. Una parentesi che sul piano calcistico fa parte del passato. Quel Palermo non esiste più, i colori rosanero sono ripartiti dalla serie D con una nuova società dopo la mancata iscrizione in B”.