Ignazio Arcoleo si racconta: «La Sicilia può farcela anche nel calcio. Mancato ruolo nel Palermo e la scelta di Trapani…»

L’edizione odierna de “La Repubblica” ha realizzato una lunga intervista ad Ignazio Arcoleo, da poco entrato a far parte dello staff del Trapani. Ecco l’intervista integrale all’ex tecnico rosanero:

Arcoleo cosa l’ha spinta a gettarsi ancora una volta nella mischia? «Il calcio è la mia vita. È il mio ambiente e quindi non posso che essere felice di questa opportunità che la dirigenza del Trapani ha voluto offrirmi. Non finirò mai di ringraziare il presidente, i dirigenti e la proprietà per avermi dato questa possibilità. Mi sento onorato e stimolato. Per me si tratta di un ruolo nuovo. Sarò il club manager della squadra: una sorta di rappresentante della proprietà che non vive a Trapani. I miei occhi saranno gli occhi della dirigenza quando il presidente e gli amministratori non saranno in città».

Lei rappresenta un ponte calcistico tra Palermo e Trapani. In queste città ha fatto benissimo. Che effetto le fa questo ruolo? «Mi riempie di orgoglio ed è per questo che vorrei che Palermo e Trapani potessero presto arrivare dove meritano: in serie A. Sono sicuro che nella nostra Isola si può fare. Io sono un siciliano che ama la sua terra e i valori della sua gente. Per questo sono convinto che si possano ottenere risultati importanti e mi piacerebbe un giorno vedere Palermo, Catania, Messina e Trapani in serie A».

Eppure non sono passati secoli ma solo un decennio da quando le tre principali squadre dell’Isola erano in serie A. Perché adesso non è più così? «Perché il calcio di oggi si fa in due modi: o con un grande magnate che decide di investire molte risorse nel calcio oppure valorizzando i prodotti del vivaio e i giocatori giovani magari siciliani».

Un compito che lei dovrà svolgere a Trapani? «Sì, è vero. Uno dei compiti che avrò a Trapani sarà quello di scovare giovani calciatori sui quali lavorare per assicurare un futuro alla società e nuova linfa alla squadra».

Il giorno che il sindaco di Palermo Orlando ha assegnato a Hera Hora il compito di riportare il calcio a Palermo, nel video di presentazione della nuova società lei era uno dei testimonial. «Quello era un primo passo del quale sono stato molto lieto e che mi ha fatto molto piacere. Adesso tocca però ai dirigenti portare avanti il progetto. Tocca a chi sta nel ponte di comando: a Mirri, a Sagramola, a Pergolizzi dare vita al nuovo corso e riportare il Palermo in alto. Un risultato che credo si possibile raggiungere in breve tempo e per il quale, da palermitano, faccio il tifo».

In un primo momento sembrava che lei dovesse avere un ruolo nel nuovo Palermo. Qualche rimpianto? «No perché mio padre e mia madre mi hanno insegnato a rispettare la volontà e le scelte degli altri e quindi io rispetto le scelte di chi gestisce adesso il Palermo».

Questo Palermo sembra suscitare un entusiasmo simile al suo “Palermo dei Picciotti”. Quali punti d’incontro vede tra le due esperienze? «È difficile dirlo. Non posso misurare l’entusiasmo di oggi con quello di allora. È tutto diverso. Sono due epoche lontane tra loro. È tutto cambiato, ma è bello che Palermo provi affetto per la sua squadra».

Il Palermo dei Picciotti resta il suo successo più bello in panchina? «Ci sono tre cose che ho fatto da allenatore che mi rendono fiero. La prima a Mazara dove ho portato la gente a divertirsi allo stadio. A Trapani abbiamo giocato un calcio vincente e non abbiamo conquistato la promozione in serie B solo per un soffio. A Palermo andava tutto bene sino a quando mi è stata data l’opportunità di lavorare in autonomia. Anche quella è una bella pagina dell’almanacco dei miei ricordi».

Parliamo della sua prima esperienza a Trapani. Che ricordi ha? «Ho avuto la fortuna di incontrare un presidente come Andrea Bulgarella che vedeva le cose vent’anni prima rispetto ai comuni mortali. Un grande personaggio che mi disse che aveva deciso di affidarmi la squadra perché aveva visto nei miei occhi la voglia e la grinta per fare bene. Un presidente che, per la sua signorilità e il suo modo di fare, mi ricorda Renzo Barbera che ho avuto come presidente quando giocavo nel Palermo».

Qual era il segreto di quella squadra? «Quella era una famiglia. Siamo rimasti sempre uniti e abbiamo attraversato insieme anche i momenti di tempesta che nel calcio possono sempre arrivare. Bulgarella, in quei momenti, è stato bravo a farmi sentire la sua fiducia, ad affrontare tutto con calma e a superare le difficoltà. Un atteggiamento si serietà, di competenza e di tranquillità che vedo anche nella dirigenza di oggi.

In questo Trapani ho trovato gente preparata che vuole fare bene e spero, anche io, di poter fare la mia parte». Trapani ha ritrovato quella serie B che lei aveva solo sfiorato. «La mancammo per un soffio, ma resta il ricordo del bel calcio che giocavamo in quel periodo. I tifosi del Trapani si divertivano così come si divertivano quelli che seguivano il mio Palermo. Poi, quel gol subito in pieno recupero, quando già i tifosi del Gualdo avevano lasciato lo stadio, fece sfumare il sogno del Trapani. Un sogno che si è avverato poi qualche anno dopo».

Gli ultimi minuti di gioco sembrano essere per le una maledizione. Con il Trapani ha perso la B nel recupero, con il Palermo in Coppa Italia contro il Bologna quel rigore su Bulgarelli arrivò allo scadere. Quanto l’ha inseguita nella sua vita quell’episodio? «Quel rigore non è una macchia nella mia carriera, ma una macchia per il calcio. Il Palermo meritava di vincere quella partita e l’azione incriminata nasce da una svista arbitrale. La rimessa laterale era del Palermo e non del Bologna e Savoldi, per sua stessa ammissione, ha raccontato di aver fatto una furbata prendendo il pallone e battendo subito».

A lei resta però un record? «Sì, sono l’unico giocatore del Palermo ad avere disputato due finali di Coppa Italia di fila. Andai via dopo la sconfitta con il Bologna e tornai in rosanero nell’anno della finale contro la Juventus».

Altri tempi. Come crede sia cambiato il calcio di oggi rispetto a quando scendeva in campo lei? «In campo non è cambiato poi tanto. Io ho avuto allenatori come Viciani, Cadè, De Grandi, Simoni: tutti tecnici che sono stati dei precursori. Forse è cambiata la preparazione ed è cambiata anche l’intensità, ma i principi base del calcio no».

Certamente sono cambiati i soldi che girano intorno al calcio? «Nel calcio di oggi è entrata la grande finanza e sono entrati i grandi magnati pieni di soldi. Fare calcio oggi è molto più oneroso di quanto non lo fosse ai miei tempi. Ma questo è il mio mondo ed è con questo spirito che ho preso al volo l’opportunità che la proprietà del Trapani ha deciso di darmi»”.