Genoa, Blessin: «Zangrillo era l’unico a non sostenermi, voleva un tecnico italiano»

Alexander Blessin dopo l’esonero patito al Genoa al culmine di un deludente girone d’andata ha parlato ai microfoni di “T-Online” in merito alla sua esperienza in rossoblù:

«Ho vissuto un periodo molto intenso al Genoa, il club con più tradizione in Italia: non potevo immaginare un passaggio migliore per la mia carriera. La chiamata del club rossoblù rivelava un’operazione d’assalto, occorreva prendere una decisione veloce. C’era poco tempo per lavorare, serviva recuperare otto punti in sedici giornate. Al debutto ho stabilito un record positivo: mai nessuno era riuscito a pareggiarne sette di fila. Abbiamo dato stabilità alla nostra difesa in tempi relativamente brevi (la terza migliore in sedici partite) ma con quello svantaggio da recuperare il pareggio non ti permette di fare grandi passi in avanti. La vittoria contro la Juventus ha scatenato di nuovo in noi la forza che avevamo all’inizio: abbiamo giocato una partita fantastica. Ci mancavano solo tre punti alla salvezza».

«Dopo la retrocessione era abbastanza chiaro che avremmo continuato a lavorare insieme, così ci siamo chiesti: “che cosa vuole il Genoa?”. Non è facile rialzarsi, ne eravamo consapevoli. Alla parte tenica della squadra che è rimasta se n’è aggiunta un’altra, ho dovuto adattare la mia filosofia con la quale avevo avuto successo all’Ostenda, in Belgio. In Serie B è un altro calcio: serve profondità e segnare da palla inattiva. Dopo undici giornate abbiamo avuti problemi in qualche posizione e calciatori chiave infortunati – chiosa Blessin – all’improvviso eravamo dentro una spirale discendente, così ho dovuto lavorare di nuovo sull’autostima. L’ambiente genoano è critico, soprattutto nel gruppo degli italiani: è molto difficile lavorare. Il presidente Zangrillo era l’unico di tale gruppo che non mi sosteneva in Serie A perché voleva un allenatore italiano: faceva costantemente pressioni e si sentiva obbligato a fare un cambiamento. Marchetti? Non mi piaceva il suo approccio all’allenamento, non si è messo al servizio della squadra perché era contrario ai miei principi di gioco che sono contrari al “catenaccio”: quando ha dovuto lasciare il Genoa era molto arrabbiato, io non ho detto niente perché non è nel mio stile»