Gazzetta dello Sport: “Da Scampia all’azzurro, Izzo tra sogni e difesa: «Io non c’entro nulla»”

“«Ho letto queste notizie che mi vedono coinvolto in vicende a me assolutamente estranee. Sono un calciatore e non ho mai neanche pensato di truccare una partita. Voglio precisare che nelle due partite di cui si parla, Modena-Avellino e Avellino-Reggina, ero infortunato e non ho giocato. Ho piena fiducia nella magistratura e sono sicuro di riuscire a chiarire la mia posizione». Armando Izzo si difende così da un’accusa che rischia di distruggere una carriera, partita dai campetti di Scampia e da un’infanzia difficile e arrivata a un passo dal sogno azzurro. Una storia, la sua, davvero complicata. INFERNO Il Lotto G fa parte del Terzo Mondo, qualcuno lo chiama semplicemente le Case dei puffi, perché il palazzo è tutto azzurro. Siamo a Secondigliano-Scampia, nella zona nord di Napoli: squallore, edilizia selvaggia, cemento armato e degrado, lì ci sono stati omicidi, lì sono stati arrestati boss della camorra, scoperti dentro bunker, nascosti sotto botole, lì ragazzini armati facevano da sentinelle per lo spaccio di droga e per il commercio di armi. Lì è cresciuto il genoano Armando Izzo, inseguendo un sogno, suo e di papà Vincenzo: diventare calciatore. IL SOGNO Zio Mimmo Micallo conosce qualcuno all’Arci Scampia, Armando è bravo, gioca centrocampista e sogna di emulare un ragazzo spagnolo che si chiama Xavi e gioca nel Barcellona. A 11 anni viene tesserato dal Napoli, dopo un provino che convince il dirigente Peppe Santoro. Papà Enzo lo lascia andare a patto che non debba pagare la retta: soldi in casa non ce ne sono. Due anni e mezzo dopo, quando il padre muore, tutto si complica. Mamma Giovanna resta disoccupata e ci sono quattro fratelli più piccoli da seguire, così Armando lascia il calcio, vuole lavorare: fa il barista e il muratore, viene sfiorato forse pure qualche tentazione. Poi trova una persona speciale: Paolo Palermo, quello che tutt’ora è il suo procuratore, che lo incoraggia, lo aiuta economicamente e lo convince a ritentare con il Napoli e a trascinarsi fuori dal gorgo che lo sta risucchiando. IL PERICOLO Suo zio, Salvatore Petriccione, è un boss, suo fratello Gennaro, detto Genny, scivola lentamente nell’incubo: qualche furto, poi forse il traffico di stupefacenti. Armando nel frattempo è diventato un difensore, tecnico e veloce, ma piccolo. Sogna di emulare Fabio Cannavaro, Mazzarri lo convoca per un ritiro e gli compra pure le scarpe, per permettergli di allenarsi con i compagni, ma il Napoli ci crede poco: va in prestito alla Triestina, poi in comproprietà gratuita all’Avellino, che lo riscatterà per 200 mila euro e lo cederà al Genoa per 400. Armando, neppure maggiorenne, è già diventato padre, sta con Titti, il suo grande amore, ha dovuto lottare per averlo, ma la nascita di Aurora e Vittoria lo faranno maturare. LA DIFESA A Genova si esalta, conquista Gasp, che riesce a limitarne l’esuberanza e la teatralità, fa innamorare i compagni, che trovano un sorriso furbo e un inventore di scherzi. In campo regala ai tifosi una perla, rara per un difensore: l’elastico, una di quelle giocate che a Napoli gli erano valse il soprannome “o’ brasiliano”. Convince il presidente Preziosi, di cui diventa un pupillo e che ora non riesce a credere alle accuse: «Armando è un ragazzo solare – dice – un giocatore importante, l’anima dello spogliatoio. Lo proteggeremo in tutti i modi». Per prima cosa gli hanno fornito buoni avvocati, perché c’è un accusa terribile da contrastare, come se fosse un attaccante temibilissimo”. Questo quanto si legge sull’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport”.