Gazzetta dello Sport: “Conte, il migliore. Tattica, studio, psicologia. È la sintesi del meglio che c’è”

“È Conte il miglior allenatore che ci sia oggi? Domanda non fuori luogo se, fino a Italia­Spagna, sembravano di nuovo i tempi in cui il calcio era quello sport che si giocava in undici e vinceva sempre la Germania. Ma poi, nel suo pur latinissimo melodramma, quel 2­0 ha introdotto prepotentemente nell’Europeo la variabile logica Antonio Conte. Quella che noi da cinque anni, dalla Juve ricostruita dal nulla, conoscevamo bene: ma che ora sta conquistando tifosi e critici dovunque. Quella variante che, come un Ronaldo o un Hazard, può ribaltare previsioni su parametri indiscutibili: i tedeschi sono i più forti e vinceranno l’Euro. Non c’è chi non si sia reso conto che il risultato di Parigi – molto oltre i gol di Chiellini e Pellè – è stato totalmente tattico, strategico e anche «umano». Un uomo, i suoi appunti, la sua visione e la trasformazione del sapere in un progetto. Alla faccia di altri staff che rivendicano data base ricchi di informazioni e numeri di telefono delle amanti delle rivali: scientificamente non saremo così progrediti, ma pochi studiano una partita come Conte. SCIENZA CALCISTICA Non è un caso che Belgio e Spagna, 2 grandi su 4, siano finite nel disegno preparato nei minimi dettagli, un labirinto senza via d’uscita. Con una simmetria statistica che lascia pochi dubbi sulla «scientificità». L’Italia ha concesso tra il 57 (Belgio) e il 60% (Spagna) del possesso  (con più distacco nella ripresa, consentendo così ripartenze veloci in difese stanche). E tra il 60 (Belgio) e il 64% (Spagna) del vantaggio territoriale in zone non cruciali. Come dire: il pallone l’avete portato voi e lo tenete, ma noi scriviamo le regole. Le occasioni pericolose e i tiri in porta sono stati nostri, idem i chilometri percorsi (sempre con intelligenza, tanto che gli azzurri sono ancora freschi). L’Italia è sempre stata più corta e più larga, decidendo quindi zona di gioco e distanze. Infine, i gol, negli stessi minuti: circa mezzora e fine. CLASSIFICHE… Statistiche a parte, e il De Sciglio irriconoscibile del Milan e coraggioso fino all’«arroganza» qui? La coppia Pellè­Eder quasi riserva nei club ed esaltante in Francia? La potenza recuperata da De Rossi? Non sono esoterismi questi, ma segnali da grande tecnico­psicologo­motivatore e un po’ maniaco­rompiballe, com’è giusto che sia. Tra i quaranta­cinquantenni – esclusi i mostri sacri e Ancelotti, che di fatto «sacro» lo è già – il nostro c.t. appartiene al club esclusivo di cui sono soci Guardiola, Mourinho, Simeone, Klopp, Luis Enrique. Ognuno esemplare originale di un calcio che trasmette i geni della conoscenza a ritmi impensabili ai tempi di Trap. Se le classifiche sono impossibili, nello sport con più variabili indipendenti, se ci sono anche Emery (dopo il Siviglia miracoloso atteso dal Psg per la Champions) e Sampaoli (che ha creato un Cile che va oltre lui), come in ogni gioco serio abbiamo dovuto scegliere una lista. Discutibile e sincera. SCUOLA BARÇA Guardiola il filosofo è il signore degli allenatori. Lo dicono le statistiche più crude, con gli 11 trofei vinti, il 75% di successi e appena il 10% di sconfitte nel quinquennio, ma come ignorare che il Bayern è l’album di figurine dei campioni che voleva, e che il Barcellona da lui «inventato» aveva già Messi, solo che Rijkaard non riusciva a elaborare una squadra attorno. Forse teorizza un po’, vuole piegare al suo laboratorio permanente gli interpreti (Muller mezzala, Vidal play) nel nome dell’idea, ma è geniale. In Champions non è stato come in Bundesliga, il City offrirà risposte, sempre però su basi milionarie. Per cui non è stato scontato il nuovo Barça di Luis Enrique, dopo il fallimento Martino: Messi a destra, Suarez centravanti, i due che convivono con Neymar, così l’ex Roma ha modificato il guardiolismo con più profondità, velocità e aggressione alta. Vorremmo vederlo al Psg. MOU-CHOLO Mourinho viene da un paio di anni difficili, in Spagna ha incrociato i più forti di sempre. Più difensivo di Guardiola, piega i giocatori non alla tattica, ma alla causa: Eto’o terzino enorme nell’Inter è il paradigma di un rapporto più viscerale e meno teorico con lo spogliatoio. Fino al Madrid, era stata solo estasi. Allo United in crisi di autostima, Mou deve spiegare che i soldi non sono tutto nella vita (di un tecnico) e inventarsi qualcosa, dimostrando di farlo «suo» prima del secondo anno (Chelsea, Inter). Più vicino a Mou per sensibilità, spirito, potere su popolo e squadra, Diego Simeone ha vinto meno ma in un Atletico di gente normale che sublima il collettivo: Tiago dato per finito alla Juve e regista a Madrid è una storia alla Conte. L’opposto è l’approccio iperdifensivo da guerriglia nella giungla: come sarebbe al Bayern, o al Real, è una domanda interessante (con risposta positiva). Jürgen Klopp pratica un gioco più spettacolare, fatto di velocità, progressioni collettive, spazi ampi, ma ha meno senso pratico. Però che le squadre siano «sue» s’è capito una volta al Liverpool: tecnico vero, non gestore. SINTESI CONTIANA E Conte? Nessuno è partito come lui dalla prima Juve: in pratica, la stessa di Delneri, fuori dall’Europa, innervata da Vucinic, Vidal e Pirlo, ma con una base tecnica lontanissima da quella di oggi. Nessuno è arrivato così lontano partendo da così in basso. Ha creato un sistema (come Guardiola o Sampaoli) al quale l’intelligenza di Allegri ha dato continuità. Per studio, leadership, atteggiamento, esagerazioni, spogliatoio, è però più vicino a Mou e Simeone, ma ideologicamente più offensivo. Tatticamente non impone alla Guardiola ma si adatta, disconoscendo principi che apparivano sacri quali il 4­2­4. Nessuno degli altri è stato mai c.t.: il 10 luglio la classifica tra questi fenomeni potrebbe improvvisamente aggiornarsi. E la domanda iniziale non rivelarsi fuori luogo”. Questo quanto si legge sull’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport”.