Ficarra e Picone: “La mafia è sparita e noi la raccontiamo”

L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sulla nuova serie tv targata Netflix del duo comico palermitano Ficarra&Picone riportando una loro intervista.

Miglio scorticato contro ciambellone ripieno di ricotta, mamma iper-protettiva contro moglie salutista, fiction contro fiction, ma soprattutto Sicilia a tinte forti contro Sicilia “babba”. La serie tv “Incastrati” scritta e diretta da Salvo Ficarra e Valentino Picone che andrà in onda in 6 episodi su Netflix a partire dal 1° gennaio in Italia e dal 27 in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo, racconterà una storia in cui la Sicilia, anche se con i toni ironici della commedia, torna a essere quella della guerra tra cosche, dei “mammasantissima”, dei siciliani mammoni, delle luminarie e dell’ossessione per il cibo. Alla base di questa commedia degli equivoci che ironizza, con un linguaggio meta-testuale, su quanto ormai le fiction siano diventate pervasive nella vita di ogni giorno, tanto da condizionare la realtà, c’è l’assunto che la Sicilia noir funzioni di più come prodotto narrativo di quella “normalizzata.

La trama vuole Ficarra e Picone, nella solita dinamica di amici/parenti (Salvo ha sposato la sorella di Valentino), travolti dal destino durante una normale giornata di lavoro, quando restano coinvolti in un omicidio eccellente. Cercando di scappare dalla scena del crimine, condizionati dalle idee di Salvo appassionato di serie crime, combinano un pasticcio dietro l’altro mettendosi sempre più nei guai. La serie, la prima scritta e diretta dal duo, è stata girata interamente in Sicilia, tra Palermo, Sciacca, Castellamare, Cinisi, Carini e Scopello, è prodotta da Attilio De Razza per Tramp Limited e il cast annovera anche Leo Gullotta, Tony Sperandeo, Filippo Luna, Sergio Friscia, Mary Cipolla e Maurizio Marchetti.

In un momento in cui si assiste a un generale riposizionamento narrativo della Sicilia, liberandola dall’automatismo storia siciliana uguale storia di mafia, in controtendenza voi decidete di aprirvi alla commedia con i boss, gli affiliati e i morti ammazzati; perché?

Picone: «Quando tutti facevano i film sulla mafia, noi ci vantavamo di dire che in Sicilia si possono fare anche film che parlano d’altro, storie di ordinaria quotidianità dove al massimo si prendevano in giro le abitudini deteriori del sud. Adesso questo silenzio assordante intorno alla mafia ci è sospetto e allora noi in questa serie rispondiamo ironicamente alla domanda: la mafia oggi c’è ancora? Se c’è che cosa sta facendo? E che cosa si aspetta? Ecco perché ci sembrava opportuno parlarne proprio ora, accettando perfino l’idea di accogliere gli omicidi all’interno di un nostro film, seppur sempre in chiave ironica».

Da dove nasce il desiderio di cimentarsi con la serialità?
Ficarra: «La responsabilità è di Netflix, ci è stato proposto di fare una serie e a noi è sembrato interessante poterci sperimentare in un genere nuovo, con una storia che deve intrattenere il pubblico per tre ore, il doppio di un film. Abbiamo dovuto adattare la commedia alla serialità e quello che ci è venuto incontro per i colpi di scena e le situazioni che devono tenere con il fiato sospeso fino all’episodio successivo è stato il genere “crime”. Abbiamo scritto a distanza, durante il lockdown, e questo ci ha aiutato anche a passare il tempo».

Nella serie parlate chiaramente di mafia e delle sue infiltrazioni negli strati variegati della popolazione, argomento sfiorato ne “L’ora legale: da dove viene l’esigenza di mettere in campo uno sguardo amaro?
Picone: «Ne “L’ora legale” la mafia era rappresentata come un personaggio che assisteva dall’alto, influenzando a distanza le vite dei protagonisti, lo sguardo era focalizzato sulle idiosincrasie degli italiani, dei siciliani, come cittadini, le nostre colpe e le nostre responsabilità. Qui abbiamo rappresentato la realtà, che supera la fantasia. Abbiamo visto le persone più insospettabili coinvolte in cosche mafiose, dal primario dell’ospedale al pescivendolo. Ci è sembrato questo il momento per raccontare la mafia, una mafia inabissata che c’è e sta lavorando».

Ficarra «A noi piace farvi ridere, non consolarvi. I nostri film non sono mai stati consolatori» Picone: «Per noi è importante non dimenticare, nella stagione delle stragi noi c’eravamo e abbiamo interiorizzato quel senso di allerta, di responsabilità e vergogna che oggi è giusto restituire alle generazioni più giovani. La Sicilia è andata molto avanti, ma l’errore a distanza di anni che si può fare è quello di dimenticare e invece l’attenzione va tenuta alta, recuperando quel senso di vergogna provato nel passato che è stata la spinta a migliorarci».

Come è stato girare a Palermo?
Pensate che sia un campo nel quale sarà possibile investire in futuro?
Ficarra: «Palermo e la Sicilia sono un set perfetto, che offre scenari diversissimi a poca distanza l’uno dall’altro, dal mare alla montagna, dalle città d’arte ai piccoli borghi. Per noi è stato bellissimo girare in città, con i nostri amici e la sera potere tornare a dormire a casa. Quello delle produzioni cinematografiche e televisive è un settore che deve essere incentivato perché consente l’impiego di diverse professionalità, è un modo di richiamare turisti come è successo nella Sicilia orientale con Montalbano. È una leva che se usata nella giusta maniera può portare tanto, ci auguriamo che le istituzioni possano facilitare l’ingresso di nuove troupe».

Vi siete mai sentiti “Incastrati” nel vostro ruolo o nella coppia, o in una città come Palermo?
Picone: «Mai. Siamo sempre stati curiosi e ci piace spaziare, fare cose nuove e sperimentare nuovi linguaggi. Questo ci fa sentire al riparo dal rimanere intrappolati in qualcosa che non ha possibilità di evolvere. Neanche nel traffico palermitano ci siamo sentiti incastrati, a proposito: non eravamo noi a rallentare il traffico in città nei giorni delle riprese, giravamo in contemporanea a un noto spot». REPUBBLICA