Corriere dello Sport: “Fughe azzurre, codice Mancio per proteggere il Club Italia”

L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sull’Italia di Mancini.

Chissà se Mancini avrà ancora l’occasione di dire qualcosa al suo “vice Jorginho”, che lo ha mollato a poche ore da Italia-Lituania, lui annunciato tra i titolari del match, accusando un problema fisico e ottenendo l’ok a lasciare il ritiro di Reggio Emilia. Come è noto dieci minuti dopo aver iniziato il viaggio verso Milano, il giocatore ha pensato bene di lanciare un messaggio Instagram ai tifosi interisti, tranquillizzandoli sul suo stato di salute e dando appuntamento a Marassi, visto che evidentemente si sentiva già pronto per giocare.

A dire il vero, la vicenda, a freddo, ha colpito il ct più per l’ennesimo “malanno” di Sensi che per la sua improvvisa uscita social, ai suoi occhi ricaduta sul giocatore. Ma è un fatto che l’episodio è stato il più imbarazzante delle ultime 48 ore in seno alla Nazionale. Un tourbillon di partenze da gestire, che ha riacceso l’attenzione sul problematico rapporto club-Italia, forse irrisolvibile. Prima della terza partita, a Reggio, sei giocatori in 48 ore rientrati in anticipo alle rispettive sedi con acciacchi di varia natura, non si erano ancora visti durante la sua gestione. In totale, dei 35 convocati iniziali, sono rimasti a disposizione in 23, più gli indisponibili Zaniolo e Emerson in tribuna al Mapei. Il fatto è che alla ripresa del campionato il solo Chiesa non sarà recuperabile. Già a marzo c’era stata una mezza dozzina di forfeit nel finale del raduno per il via alle qualificazioni mondiali.

Di sicuro Mancini non cambierà certo adesso il proprio modus di operare. Che il punto di appoggio su cui il ct ha fatto leva per sollevare la sua Nazionale fino al vertice europeo sia appunto la forza di un gruppo unito e sano è un fatto assodato. Non ha usato, per realizzare l’impresa, il celebre codice etico di prandelliana memoria. Piuttosto un Codice Mancini. Fatto di scelte, di promozioni, di esclusioni, di colloqui, di equità. Con casi paradigmatici come quelli di Kean, Raspadori e Zaniolo, i nostri giovani d’oro. Mancini non ha avuto paura della fama di bad boy di Moise.