Corriere della Sera: “Italia verso la zona rossa «Se non stiamo attenti durante le feste, il prossimo marzo sarà come quello del 2020»

Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani, componente del Comitato tecnico scientifico (Cts), ha voluto dire la sua sull’emergenza Coronavirus e la paura della terza ondata. Di seguito la sua intervista rilasciata ai microfoni del “Corriere della Sera”:

La curva dei contagi cala, le terapie intensive cominciano a respirare ma incombe la prospettiva di un Natale ancora più chiuso. Quali timori?
«I timori sono gli stessi che noi, Cassandre inascoltate, avevamo quando a giugno-luglio si pensava di aver superato l’epidemia e si riaprivano le discoteche. Il risultato ce l’abbiamo sotto gli occhi ancora adesso. Al primo cenno di rallentamento dell’epidemia stiamo commettendo lo stesso identico errore: ma allora la storia non ci ha insegnato nulla!», esclama Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani, componente del Comitato tecnico-scientifico (Cts).

Cosa non abbiamo imparato?
«Il virus è ancora lì e si diffonde sempre allo stesso modo, è pericoloso oggi come lo era a marzo scorso e come lo sarà a marzo del 2021 se non saremo stati intelligenti durante le festività di fine anno. In Italia ci sono stati 30.000 decessi per il coronavirus da quando, a fine maggio, qualcuno disse che il virus clinicamente non esisteva più».

La Germania ha meno morti di noi eppure diventa rossa. Quale differenza con l’Italia?
«Merkel è andata in tv a scongiurare i suoi concittadini di limitare i contatti e rimanere a casa il giorno in cui è stato raggiunto il record di 590 decessi. In Italia muoiono in media 600 persone al giorno dall’inizio di novembre, ma sembra che la cosa non interessi a nessuno».

Sono in troppi a parlare?
«Qualcuno ha anche detto di non essere sicura se nei camion militari, che lo scorso marzo uscivano dall’ospedale di Bergamo, ci fossero effettivamente dei cadaveri».

Perché l’Italia è il Paese con più morti?
«Vorrei avere una risposta convincente ma non ce l’ho. Certo, abbiamo una popolazione con una età media molto elevata, ma è così anche in Giappone dove a oggi ci sono stati meno di tremila decessi. È vero che in Italia molte persone anziane, le più vulnerabili, vivono nella stessa abitazione con i figli e i nipoti e questo le espone maggiormente al contagio, ma anche questa è una risposta parziale, e non è che nelle residenze per anziani in generale le cose siano andate molto meglio che nelle famiglie multigenerazionali».

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Sanità da resettare?
«Certo è necessario lavorare sui dati da parte di chiunque abbia esperienza e competenza. Dobbiamo tornare a investire concretamente nella sanità e chiederci seriamente se il nostro sistema sanitario sia adeguatamente attrezzato per rispondere alle necessità di una popolazione dall’età media sempre più elevata, e non mi riferisco soltanto alla pandemia: chi ha un genitore malato di Alzheimer sa benissimo di cosa sto parlando».

Con il virologo statunitense Anthony Fauci lei è convinto che la pandemia resterà un problema per tutto il 2021. Rimane della stessa idea, nonostante l’imminente campagna di vaccinazione?
«Assolutamente sì, e dico questo con ottimismo grazie alla disponibilità dei vaccini che ci potranno permettere un progressivo allentamento di alcune restrizioni. La campagna di vaccinazione della popolazione dovrebbe concludersi, imprevisti permettendo, alla fine dell’estate, quindi non prima del prossimo novembre potremo avere una consistente percentuale della popolazione — almeno il 75% — coperta da immunità vaccinale».

E fino a novembre che fare?
«Sino ad allora non dovremo dimenticarci che le armi di difesa, e le conosciamo bene da quasi un anno, rimangano parte della nostra vita quotidiana».

È favorevole a un «patentino di immunità» per i vaccinati?
«Quello del patentino a mio avviso è un discorso prematuro e le patenti sono autorizzazioni che necessitano di percorsi chiari e definiti. Oggi non sappiamo quale tipo di protezione forniscano questi nuovi vaccini che sappiamo essere efficaci nel prevenire la malattia. Se il vaccino previene anche l’infezione allora protegge non solo chi lo riceve ma anche gli altri; se invece il vaccino protegge dalla malattia ma non dall’infezione, serve solo a chi lo riceve».

In questo secondo caso?
«Un eventuale “patentino” sarebbe del tutto inutile, anzi ingenererebbe un falso senso di sicurezza nella popolazione. Dopo di che è certo che chi si sarà vaccinato avrà più libertà e meno preoccupazioni, indipendentemente dal fatto che ci sia un timbro che lo certifichi».

Che cosa pensa di un eventuale obbligo vaccinale?
«Occorre convinzione e non costrizione. Come ho avuto modo di dire qualche giorno fa, non sono convinto delle misure obbligatorie. Ma questo non significa che ci possano essere attività, professionali e non, per svolgere le quali sia richiesto il vaccino a tutela degli altri».

Tre motivazioni per convincere un cittadino a vaccinarsi spegnendo i suoi timori?
«Ribalto la domanda: per quale motivo, dopo tutto quello che abbiamo vissuto quest’anno, non dovremmo fare un vaccino, che si è dimostrato sicuro ed efficace nel 95% dei casi, che ci permetterebbe di tornare alla vita di un anno fa? Al cinema, allo stadio, a cena con gli amici?».