Repubblica: “Reddito di cittadinanza, il flop siciliano. Tremano in 500mila”

Il sito presentato dal ministro del Lavoro dello Sviluppo economico e vicepremier Luigi Di Maio durante la presentazione del sito ufficiale e della card del reddito di cittadinanza, Roma, 04 febbraio 2019. ANSA/ANGELO CARCONI

Un esercito di oltre mezzo milione di siciliani, di cui soltanto l’uno per cento ha trovato un posto di lavoro.

Sono i 556.754 siciliani beneficiari del reddito di cittadinanza, che intanto restano col fiato sospeso in attesa di conoscere le sorti della misura di sostegno varata dal primo governo Conte. Giorgia Meloni lo ha definito «metadone di Stato» , una misura, cioè, che mantiene le persone nella propria condizione. Matteo Salvini dice di aver commesso un errore e definisce il provvedimento «un fallimento».

Quasi 13 mila sono i beneficiari a cui sono stati proposti stage o tirocini formativi, in 2.767 ne hanno realmente portato a termine uno. A una platea di quasi 50mila persone è stato proposto un percorso formativo, ma anche in questo caso appena 10mila lo hanno concluso.
La maglia nera resta il lavoro: delle quasi 90mila segnalazioni che i navigator hanno fatto, appena 6.662 si sono effettivamente trasformate in contratti di lavoro. Poco più dell’1% del totale dei percettori del reddito nell’Isola. «Per noi è importante – dichiara Patrizia Caudullo, responsabile di Anpal Sicilia – avere avvicinato questa gente a un altro mondo, fatto di diritti. Aver dimostrato a molti di loro che possono essere trattati in modo differente». Intanto i percettori della misura di sostegno economico hanno avuto modo di studiare o imparare un mestiere. «Tantissimi tra i beneficiari del reddito – racconta un navigator in servizio a Palermo – non avevano neanche la licenza media. Li abbiamo sostenuti nel percorso per il conseguimento di questo titolo, per quanto non sarebbe stato letteralmente un nostro compito. Quando parliamo di dispersione scolastica, parliamo di questo. Di futuri adulti che rischiano di restare ai margini. Si chiama scuola dell’obbligo, ma allora perché nessuno ha controllato che questi ex ragazzi e queste ex ragazze effettivamente conseguissero almeno il titolo dell’obbligo?».