Pergolizzi si racconta ad Alfredo Pedullà: «Il Palermo è un destino da brividi. Stavolta mi gioco…»

L’edizione odierna del “Corriere dello Sport” riporta le dichiarazioni di Rosario Pergolizzi, allenatore del Palermo, rilasciate al noto giornalista Alfredo Pedullà. Rosario Pergolizzi, via Palmerino: era scritto che un giorno sarebbe tornato. «Magari sono un predestinato, mi sento un giovane vecchio. Lo sono sempre stato. Ma so che in questa esperienza mi gioco molto, forse tutto». Meglio 4-3-3 o 4-3-1-2? «Importante che non mi attribuiscano etichette assurde. Pergolizzi difensivista. Meglio: sono orgoglioso di esserlo se curo, come curo, quella fase per prendere meno gol. Anche l’Inter di Conte…». Cosa c’entra Conte? «Intendo dire che l’Inter in fase di non possesso ha gli attaccanti dietro la linea del pallone. Cos’è, un’offesa? Sarei un difensivista se, sotto di un gol o sullo 0-0, inserissi un terzino piuttosto che un attaccante. Ho avuto maestri…».

Tutti bravi, lezioni autentiche. «Carismatici, soprattutto. Vuoi la lista? Ne dimenticherei qualcuno. Fascetti, Maran, Sonetti, Bolchi, Scala, credo bastino. Però, chi mi ha insegnato di più…». Chi? «Ulivieri a Bologna, un martello vero. Lui pensava a tutto, servizio completo: la postura, i movimenti, gli atteggiamenti, i comportamenti, la tattica. A Bologna andammo dalla C alla A, poi brindai a Brescia con Reja, un altro maestro che non ho citato. Di promozioni ne ho collezionate tante, da allenatore sai di avere un milione di responsabilità in più. A Palermo, poi…».   Non ci sperava? «Sapevo che stavano cercando un allenatore con le mie caratteristiche. Mi aveva telefonato l’amministratore delegato Sagramola, poi silenzio per due o tre settimane. Per me la fine di un sogno». Una sentenza. «Pensavo non mi volessero più».   E invece? «Una sera Sagramola mi chiama e mi dice “vediamoci domani e chiudiamo”. Tanti giornalisti si sono arrabbiati con me perché credevano che li avessi raggirati. Ma pensavo davvero di non essere più in lizza».

Cosa significa guidare il Palermo? «Avvertire i miei figli Marco e Alessio che è inutile proporre  programmi a lunga scadenza. Spesso si infiammano “papà, tra due anni…”. Un allenatore vive mese dopo mese, forse dovrei dire un giorno per volta».
L’emozione più forte? «Quando si avvicinano i ragazzini per strada o allo stadio e ti dicono “ma tu sei Pergolizzi, l’allenatore del Palermo?”. Per me è un brivido, una carezza, un sorriso ritrovato».
Ritrovato sì. «Ho perso papà Giuseppe e mamma Cristina in quattro mesi, da dicembre ad aprile scorsi. Papà non stava bene, mamma ha accusato il colpo».
Perché aveva deciso di allenare lontano da casa sua? «Ma io ho girato l’Italia da calciatore, non puoi fossilizzarti e illuderti che se hai cambiato vita trovi l’occasione nella tua città o a 50 chilometri di distanza. Per questo ho maturato esperienze altrove, recentemente a Empoli e Ascoli. Nelle Marche avevo deciso di fermarmi, poi…».
Il suo Palermo cosa avrà sempre? «Un gruppo unito».
Com’è la serie D? «Un inferno vero. Il girone I è una tombola e non lo dico perché ci giochiamo, ma perché qualsiasi avversario ci aspetta come se fosse la festa dell’anno. E dà il triplo o il quadruplo».
Scelga. «Cosa?». Conte o Sarri? «Conte è il numero uno tra i motivatori. Con Sarri sai di giocare a pallone, scrivi proprio così. E memorizzi che puoi sfondare a qualsiasi età, anche se in carriera per anni e anni non hai raccolto come avresti dovuto».
Se il Palermo andasse in C? «Avrei fatto il mio dovere».
Se non ci andasse? «Rispettiamo tutti, ma non mollo di un centimetro, quindi non ho pensieri negativi. Non posso averli. L’ultima volta nello spogliatoio…».
Il Palermo aveva vinto 4-1, storia recente contro la Cittanovese, ma aveva preso un gol che non avrebbe dovuto. Pergolizzi urlava talmente tanto che l’ascoltavano dall’antistadio. Un bel modo, forse l’unico, per sentirsi il più fedele custode della rinascita rosanero.