L’atto d’accusa dei pm al Palermo: “La società non è in grado di autofinanziarsi” Le ultime

Il Palermo “non sarà in grado di autofinanziare la gestione ancorché nel corso dell’ultima campagna acquisti abbia smobilitato una parte della rosa calciatori producendo un flusso di cassa positivo”. Una conclusione pesante come un macigno quella che i sostituti procuratori palermitani Andrea Fusco e Francesca Dessì coordinati dall’aggiunto Salvatore De Luca scrivono nell’istanza di fallimento della società presentato la scorsa settimana per debiti che ammontano a 62 milioni di euro.

Il 7 dicembre è in programma la prima udienza prefallimentare davanti al giudice Giuseppe Sidoti dove tutto il popolo rosanero attende la difesa del patron Zamparini, che da settimane assicura che “i conti sono in regola, in cassa ci sono attivi per oltre quattro milioni e quella della procura è tutta una montatura”. Zamparini assicura di avere le carte per smontare il castello accusatorio, ma il rischio default per il club è sempre più concreto.

Nell’istanza di fallimento la procura ripercorre le operazioni finanziarie considerate “fittizie” che hanno coperto le gestioni degli anni 2013-2014, 2014-2015 e 2015-2016 pesantemente in rosso. Due i filoni che i finanzieri del nucleo tributario di Palermo hanno messo sotto la lente d’ingrandimento: la cessione del marchio Unione Sportiva Città di Palermo e alcuni trasferimenti di giocatori che avrebbero prodotto plusvalenze finite solo sui bilanci e non nelle casse della società. A spingere la procura a presentare l’istanza di fallimento è stata a fine estate la relazione finale consegnata dai consulenti nominati dai pm nell’ambito dell’indagine penale avviata in aprile nei confronti di Maurizio Zamparini, suo figlio Diego Paolo, l’ex presidente del collegio sindacale del club rosanero Anastasio Morosi, la segretaria di Zamparini Alessandra Bonometti, Domenico Scarfò, Rossano Ruggeri, il presidente e il consigliere delegato di Alyssa, la società riconducibile a Zamparini che ha acquistato la MePal e il marchio rosanero, il belga Luc Braun e il lussemburghese Jean Marie Poos. Sei le ipotesi di reato contestate: appropriazione indebita, riciclaggio, impiego di fondi di provenienza illecita, autoriciclaggio, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte e falso in bilancio aggravato dalla transnazionalità.

Il sospetto di chi indaga è che siano stati adottati degli artifizi contabili per bilanciare le passività e occultare dei fondi. Come nel caso dell’Alyssa, la società lussemburghese proprietaria del marchio dell’Unione Sportiva Città di Palermo. In dieci anni il valore del logo rosanero fra leasing e cessioni ha fruttato quasi novanta milioni di euro che risultano sui bilanci e che dovrebbero anche essere entrati nelle casse della società di viale del Fante. A cominciare dai 30 milioni del leasing di nove anni stipulato nel 2006 con la Locat Spa (diventata poi Unicredit Leasing spa), passando per la prima cessione del marchio nel giugno del 2014 dal Palermo alla società controllata MePal per 17 milioni di euro. Il marchio viene valutato 23 milioni di euro dal commercialista Anastasio Morosi. Cifra che scende a 17 milioni considerato il debito rimasto da pagare del leasing con Unicredit. Ma per gli inquirenti quella stima è gonfiata: il marchio in quel momento secondo i consulenti della Procura (giugno 2014) vale poco più di 13 milioni di euro. Un valore per altro in linea con la perizia Unicredt che lo stima circa 10 milioni.

Fino all’ultima cessione dell’intera MePal , marchio compreso, per 40 milioni di euro nel maggio 2016. Un’operazione che ha generato, in bilancio, una plusvalenza di 22 milioni di euro. In realtà si tratterebbe di un’operazione “solo simulata”. Primo perché Alyssa è di fatto controllata dallo stesso Zamparini come accertato dai finanzieri che nella perquisizione del 7 luglio trovano una mail nel computer di casa del patron rosanero inviata dalla sua segretaria Alessandra Bonometti e dalla quale emergerebbe che il capitale sociale di Alyssa (31 mila euro) è posseduto dalla società lussemburghese Kalika di proprietà di Zamparini e della moglie Laura Giordani. E in secondo luogo nell’accordo di vendita ad Alyssa non vengono indicate le modalità di pagamento dei 40 milioni. Un accenno a come saranno pagati questi 40 milioni arriva solo in una lettera del novembre 2016 in cui cui Jean Marie Poos, amministratore di Alyssa e in realtà “prestanome di Zamparini” si impegna a pagare tre rate, la prima con scadenza 30 giugno 2017. Rate che ad oggi non sono mai state pagate. Questo quanto si legge sull’edizione online della “Repubblica”