Gds: “Palermo. Rossi «Il mio grande rimpianto è non avere regalato un trofeo. Avevamo uno squadrone»”

L’edizione odierna del “Giornale di Sicilia” riporta le dichiarazioni di Delio Rossi, ex allenatore del Palermo:

«Percepisco questo affetto ancora oggi, dice il tecnico romagnolo, e certe volte mi stupisco. Nel senso che in fondo a Palermo non ho vinto. Ci sono andato vicino ma non ho vinto, a differenza di altri allenatori.

Il più forte? Cavani aveva straordinarie qualità. Poteva fare una partita e il giorno dopo farne un’altra.

Non ho mai capito perché Zamparini lo abbia ceduto a un club come il Napoli che in quei tempi stava sotto il Palermo. Anche Ilicic, Pastore, Miccoli e Kjaer erano fortissimi. Hernandez avrebbe meritato una carriera migliore.

Ma la forza di quel Palermo era lo zoccolo duro di Balzaretti, Cassani, Migliaccio, Liverani, quei giocatori che consentivano ogni anno a Zamparini di cedere i più richiesti».

«Vittoria della Coppa Italia con la Lazio? Situazioni differenti.

Quella vittoria con la Lazio mi gratificò molto perché in quegli anni il club di Lotito non era quello di adesso con Milinkovic Savic. Il Palermo come squadra era più forte di quella Lazio, avevamo eliminato il Milan di Seedorf e Pirlo, ma arrivammo in finale senza giocatori importanti in difesa e affrontammo un’Inter fortissima.

Mi commossi perché sapevo che non sarei restato a Palermo, Zamparini aveva altri progetti. Avrei voluto lasciare un trofeo, oltre al bel ricordo».

«I presidenti sono quasi tutti difficili. Ma è più facile lavorare con Lotito, che si infuriava dopo una sconfitta ma non aveva la presunzione di discutere di problemi tecnici con l’allenatore.

Sia chiaro,  Zamparini ne aveva anche il diritto, però non era bello che parlava con tutti e che io certe notizie dovessi apprenderle dai giornali. Troppo umorale, si innamorava dei calciatori e poi li mollava. Guidolin infierì sullo 0-7? Ma no. Quel giorno ci andò tutto storto.

Guidolin fece quello che avrei fatto anche io, non ho mai chiesto alla mia squadra di smettere di giocare».

«È chiaro che ho giocato a Foggia, ho casa a Foggia, ho allenato lì ed è quella la mia prima squadra.

Ma il Palermo occupa un posto speciale perché anche dopo anni me lo sento addosso, non è stato un amore effimero e penso di avere lasciato qualcosa che durerà per sempre. Ritorno non felice nel 2019? Non lo so, ma fu una porcata.

Dovevamo fare i play-off, e se fossimo andati in Serie A forse il fallimento sarebbe stato evitato. Foschi mi chiese di tornare e io non potevo dire di no. Ci vietarono i play-off per cose che si riferivano ad anni prima (poi il Palermo non fu neppure iscritto, ndr), ma sarebbe stato più coerente non ammetterlo al campionato».

«Non è facile, intanto vincere la Serie C. Neppure il Napoli di De Laurentiis ci riuscì al primo tentativo. Ma l’importante è avere una società forte alle spalle. E per forte non intendo dire solo ricca, ma anche capace di programmare, di non abbattersi alle prime difficoltà.

Una società che non sparisce solo perché non ha vinto subito. E soprattutto che non viva di ricordi. Non lo faccio neppure io. Ho allenato per
tanti anni in A e ora sono fermo.

Ma guardo avanti, non al passato. Penso che per vincere la C occorre fare una squadra forte per la categoria.

Faccio un esempio, a Foggia la Serie C non l’ha vinta Zeman, ma Caramanno.

Terzo ritorno a Palermo?

Non vorrei parlarne, tanto più in questo momento. Non voglio mettere nessuno in difficoltà. Ho lavorato con Sagramola e con Castagnini. Se mi chiamano…».