Gds: “Lauricella, cambia tutto: sette anni per estorsione. Miccoli…”

L’edizione odierna del “Giornale di Sicilia” approfondisce i nuovi risvolti del caso che coinvolse Fabrizio Miccoli, ex capitano del Palermo. Ecco quanto riportato: “A metà mattinata lo avevano interrogato e lui aveva confermato tra l’altro di avere partecipato a una riunione «chiarificatrice» alla Kalsa, negando però le pressioni illecite su un giovane imprenditore. È finita nel primissimo pomeriggio con un ribaltone, per Mauro Lauricella: sette anni anziché uno, estorsione aggravata dall’agevolazione di Cosa nostra e non più solo violenza privata, in sostanza la conferma dell’impostazione dell’accusa, che pure questo caso, anni fa, aveva provato ad archiviarlo, perlomeno nella parte relativa a Fabrizio Miccoli. Dopo la condanna in primo grado proprio per l’ex capitano del Palermo, in abbreviato, a tre anni e sei mesi (senza lo sconto di un terzo sarebbero stati quasi cinque), in appello arriva una batosta anche per il suo amico Lauricella: Mauro «Scintilla», come si fa chiamare in quanto figlio dello Scintilluni, il boss della Kalsa Antonino. Estorsione aggravata dal fatto di avere agito in più persone e dal temutissimo articolo 7, quello che punisce il metodo mafioso o l’agevolazione di Cosa nostra. Sentenza della terza sezione della Corte d’appello, presieduta da Antonio Napoli, a latere Gaetano Scaduti e Fabrizio Anfuso. Che hanno lasciato immutata, dunque confermandone l’assoluzione, la posizione dell’altro imputato, Gioacchino Alioto, condannato al maxi, l’anno scorso ferito con un colpo di pistola all’addome, ritenuto anche lui partecipe dell’imposizione ad Andrea Graffagnini, il giovane imprenditore che nella vicenda è vittima, ma non si è costituito parte civile. Miccoli ancora processato a parte: per lui sentenza di appello in ottobre. A Graffagnini, così come ricostruito dal pg Ettore Costanzo, fu imposto il pagamento di un debito di 12 mila euro (duemila dei quali pagati) che forse – anzi sicuramente, secondo i giudici – tale non era. Alioto, difeso dall’avvocato Giuseppina Ganci, si è salvato solo perché a questo ricatto non prese parte. La difesa di Lauricella – avvocati Giovanni Castronovo e Simona La Verde – prepara il ricorso in Cassazione. Scene di disperazione dopo la lettura del dispositivo: la sorella dell’imputato si è sentita male. La pena è pesante ma anche la vicenda lo è: Lauricella jr (fratello di un altro mafioso, Salvatore) si sarebbe infatti prestato a esercitare pressioni, da figlio di un boss all’epoca latitante, su input di Miccoli. Suo amico fraterno, ha ribadito ieri l’imputato nell’interrogatorio, voluto dal collegio, che poi però non ha posto domande, lasciando spazio all’avvocato Castronovo. Miccoli in questa storia ha dato il peggio di sé: a parte l’eccessiva confidenza data a Lauricella, a parte i rapporti anche con Francesco Guttadauro, figlio di Filippo, dunque di un boss, e nipote del superlatitante Matteo Messina Denaro, l’ex attaccante rosanero aveva definito «un fango» il giudice Falcone, in un colloquio intercettato dalla Dia. Ma non è per questo che i due amici sono stati ritenuti colpevoli. È perché per consentire a Giorgio Gasparini, ex fisioterapista del Palermo, di recuperare denaro, avrebbero l’uno (Miccoli) chiesto un intervento e l’altro (Lauricella) agito con i suoi sistemi. Graffagnini era subentrato a Gasparini (e all’ex difensore rosa, poi passato alla Juve, Andrea Barzagli) nella gestione della discoteca Paparazzi di Isola delle Femmine: fu schiaffeggiato in pubblico, a Mondello, e dovette partecipare – tra gli altri con Lauricella – alla riunione chiarificatrice, in un retrobottega di una bettola della Kalsa. Quando ne parlò in aula, in tribunale, ancora mostrava paura. Al collegio presieduto da Bruno Fasciana raccontò di avere comunicato al fratello che, se non fosse tornato entro una certa ora, avrebbe dovuto chiamare la polizia. E all’inizio del briefing una persona grande – «non solo di età, ma che non era Alioto» – si alzò per dare «i saluti di un assente, che purtroppo non può essere con noi». In altre parole, Lauricella padre, latitante. Graffagnini, dopo, pagò settemila euro, di cui duemila materialmente incassati. Solo una parte del suo presunto debito. Ma pagò”.