Corriere dello Sport: “«Palermo, un amore da Serie A». Tony Di Piazza, da San Giuseppe Jato ha conquistato gli Usa: «Cantavo con mia la band, 10 dollari la nostra prima paga. Ora voglio i rosa in alto»”

L’edizione odierna del “Corriere dello Sport” riporta le dichiarazioni di Tony Di Piazza, vicepresidente del Palermo: «Obiettivo del sogno americano? Guadagnare un po’ di soldi, farsi notare. All’inizio eravamo gli “Amanti”, poi il gruppo si trasformò nei “Nuovi Amici”: dieci dollari il primo compenso. Diventati famosi, ne strappavamo anche 200 o 300 per una serata, un matrimonio o per accompagnare artisti famosi che arrivavano dall’Italia. Sono di San Giuseppe Jato, oggi ottomila anime, trenta chilometri da Palermo. Mio padre Francesco lavorava in campagna ed era bravissimo a mietere il grano. La mia vita di emigrante cominciò a otto anni. Papà partì per la Svizzera, lo raggiunsi quattro anni dopo. Faceva il muratore, io le elementari. Poi arrivò, l’atto di richiamo, presentato dopo la guerra da parenti che vivevano negli Stati Uniti. Era il ’66. Papà trovò subito lavoro in una azienda tessile. Sono nato il 22 aprile 1952. E il mio segno zodiacale è quello del Toro, cioè di persona testarda, che sa quello che vuole e lo ottiene. Aggiungerei fortunata. Se domani dovesse finire il mondo, non avrei nessun rimpianto. Ho avuto tutto. Da piccolo, amavo lo sport ma non avevo i centimetri per diventare calciatore. Giocavo in attacco e poteva sembrare una barzelletta. La mia vera passione? La musica». Aveva sei anni quando la sua vita rimase appesa ad un filo. E’ l’unico ricordo del paese, dove ancora abita Rosa, la sorella. «Attaccato da una capra, saltai una ringhiera e volai in un burrone perdendo conoscenza. Pensavano fossi morto, mi adagiarono sul lettino e chiamarono mio padre in Svizzera. In effetti ero solo svenuto e spaventato. Amore? Suonavamo per gli sposi e Nella era la damigella. La rividi ad una festa italiana. Fu amore irresistibile. Per me, è stata lei a prendere l’iniziativa, mia moglie sostiene il contrario. Fatto sta che, sposati mentre ancora andavo a scuola, stiamo insieme da 45 anni e abbiamo due figli: Frank, avvocato, cura gli interessi di famiglia e con me si è avvicinato al Palermo tanto che due mesi fa è stato al Barbera per il derby con l’FC Messina; e Antonietta, commessa in un supermercato. Trump? Incompetente, è arrivato, abusando delle leggi e della gente. Non si è mai comportato in maniera trasparente. Nessun derby tra di noi, mia moglie è nata in provincia di Bari e non è mai stata una tifosa. Ora, però, quando torno dal club dove seguo le partite del Palermo, mi chiede: «Che avete fatto? Anche mio figlio Frank vive la rinascita del Palermo. Il difetto delle nuove generazioni è che si sono “americanizzate». Frank, invece, si lascia coinvolgere in ogni mia iniziativa. Amichevole contro i Cosmos? Purtroppo è saltato tutto a causa del virus. Quest’anno, ugualmente, sono arrivate grandi soddisfazioni. Ho preso il Palermo (40% delle azioni, ndc) perché sono un appassionato di calcio e dei colori rosanero. Ma, la ragione principale è dare il segnale che l’emigrante non è più quello che partiva con la valigia di cartone. Un manifesto di riscatto sociale. Il mio sogno, col Palermo, è arrivare in serie A. Alle nostre spalle spingono migliaia di tifosi. Certo mi sembrerebbe presuntuoso affermare che saremo la Juventus della Sicilia. Da imprenditore, vedo un Palermo come l’Atalanta, che ammiro. Modello da copiare, la dimostrazione che con una programmazione seria, mirata, competente e con l’allenatore giusto, si riescono a fare grandi cose. La pandemia ha creato allarme nel mondo e nuove situazioni di vita, disagi, condizioni di povertà. Siamo al primo gradino, cioè tornare fra i professionisti, sperando che si possa continuare a vincere sul campo e non per la sospensione del campionato. Il calcio può diventare un affare? Se uno parte da questa idea, meglio investire quattrini da uno psichiatra perché solitamente col pallone si perde e non ci si guadagna. E cambiare mestiere. Anche se resta la popolarità e la riconoscenza, posto che arrivino i risultati. Abbiamo il vantaggio di essere ripartiti da zero, dunque con bilanci e idee intatti. Siamo tutti ai domiciliari… Mi sposto da casa in ufficio da solo, anche se mio figlio a volte viene a trovarmi. Paura? Francamente, non ne ho. Mi sono sempre curato e sono convinto che, se il tuo corpo è sano e hai un sistema immunitario buono il Coronavirus non ti attacca. La cosa più importante è quella di stare isolati e seguire le norme delle autorità. Hobby? Per gli sport americani non vado matto. Prima collezionavo francobolli, ora non ci perdo più tempo. Non ho un minuto libero tra affari, Palermo e affetti. Insomma, non mi annoio. Con Mirri, avevamo creato un piano di triennale, con l’obiettivo di portare il Palermo in A. Ho fatto presente che, una volta in C, bisogna ridiscutere per non avere brutte sorprese: un conto la promozione dalla D alla C, un altro dalla C alla B. Una volta in B, si penserà ancora più in grande. Fermo restando che parlare di A mentre attendiamo l’esito di questa stagione, mi sembra prematuro».