Corriere dello Sport: “Nel mondo del «Genio» Corini: dal lavoro come imbianchino alla panchina. Con Sorrentino…”

“Uno che ha fatto dei lanci lunghi e della volontà la sintesi della carriera non poteva che dare i suoi primi calci nella Fionda e poi nella Voluntas. A dieci anni, Eugenio Corini era già il Genio, tanto che in un torneo di Goteborg, pur escluso dalla finale per limiti di età, venne premiato da Gunnar Gren, il professore del famoso trio Gre-No-Li del Milan, come il migliore talento della manifestazione. È stato uno dei giocatori più importanti della storia del Chievo e del Palermo. Uno dei tanti… figli di Zamparini amati e odiati e poi ancora amati che non sarebbe mai andato via da Palermo dove sono nel frattempo sbocciati anche l’amore e una nuova famiglia. Oggi, la sua esistenza ruota attorno ad Aurelia, la moglie palermitana, e alla figlia Sofia di cinque anni; e agli altri due figli Alessandra e Filippo avuti dalla prima unione. Proprio Filippo, anni fa, fu autore in pieno delirio Uefa di un… gol memorabile: Renzo Barbera in festa, giocatori in campo con mogli e figli, un soldo di cacio di tre o quattro anni, appunto Filippo che, vestito da Corini e accompagnato dal papà, e dal boato di gente entusiasta, si fa l’intero campo di corsa e mette il pallone in rete per suggellare la giornata di festa. FALCAO E GIANNINI. Ai tempi, Corini fu uno dei ventenni più impiegati nella Juve e l’avvocato Agnelli lo battezzò: «Lei è un incrocio di Falcao e Giannini». Che emozione! Alla Samp non andava d’accordo con Mancini, a Napoli fu tormentato dalla pubalgia, con il Verona e con il Chievo si ruppe due volte il crociato. E riuscì a tornare più vivo che mai. Singolari le sue esperienze di allenatore: con il Portogruaro si dimise sulla scaletta del pullman che li portava in ritiro e a Crotone la sua avventura durò poche settimane. Il ragazzino della Fionda e della Voluntas , se non vede chiaro, riparte da zero. IL RIMPROVERO. Personaggio scomodo, perché sincero, è stato uno dei pochi ad uscire fuori dal coro in merito alla decisione del Coni di sospendere il campionato in segno di lutto per la morte di Giovanni Paolo II. Frasi che gli sono costate il rimprovero della madre, fervente cattolica. «Eugenio, ma cosa hai detto?». Ed Eugenio aveva dovuto spiegarsi: «Forse il Papa, uomo di sport, ci avrebbe chiesto di giocare. Avrei voluto onorare la sua figura in campo non certo mancargli di rispetto». FRUTTIVENDOLO E IMBIANCHINO. Papà Carlo, democristiano e cattolico, lo lasciò troppo presto dopo una vita spesa per il lavoro, mamma Giuditta non dormiva mai per stargli vicino e per coccolarlo assieme a Maura e Anna, le sorelle. A Bagnolo Mella, un paese come tanti, le sue origini. Eugenio non le ha mai rinnegate. Poi, a Brescia, frequentò per due anni la scuola di elettromeccanica e smise perché a sedici anni era già in A. Rinuncia senza troppi rimpianti, gli piaceva solo l’italiano. La sua giornata estenuante tra sveglia all’alba, partenza per Brescia con lo zaino della scuola e la borsa del calcio, rientro di sera, stanco morto. Prende tempo: «Un anno e mezzo per sfondare, altrimenti torno sui banchi». Intanto, sentiva il dovere di aiutare papà, che nella ferriera si era bruciato in tutto il corpo, e mamma che passava il tempo tra casa e bar: alzataccia alle quattro e trenta, una corsa al mercato per scaricare frutta e verdura, infine gli allenamenti. Chiese un altro lavoro. Accontentato: aiuto imbianchino. L’ESORDIO. Per fortuna, dopo due mesi e mezzo il debutto in B, in Atalanta-Brescia, 3 gennaio dell’88. «Come dimenticare?». Mezza squadra fuori, Giorgi (ex terzino palermitano degli anni sessanta, deceduto nel 2010) decide di farlo debuttare e l’imbianchino-fruttivendolo diventa… Corini e passa alla Juve. Suo padre era interista, mamma non sapeva neppure cosa fosse il calcio, poi sarebbe diventata la tifosa numero uno, interista anche Eugenio. Altobelli e Beccalossi, gli idoli, poi Falcao per ruolo e caratteristiche tecniche. Da lui… ereditò il numero cinque dopo ore e ore di partite brasiliane viste in un canale privato. La disperazione di nonna Elvira. «Capirei – gli diceva – se le immagini fossero pulite, ma che cosa provi a guardare tra righe e fantasmi?». Mamma e nonna lo allevavano nel rispetto delle tradizioni: «Il giorno di Santa Lucia: se sei cattivo ti portano il carbone, se sei bravo un regalo». Il suo primo pallone arrivò un tredici dicembre. GRAZIE. A CHI? A don Angelo e all’istruttore Giuseppe Catina che dalla strada lo portarono all’oratorio e al Brescia. A Giorgi che lo lanciò giovanissimo, a Cagni e Del Neri che gli diedero fiducia quando era difficile chiederne. A Guidolin, al primo posto per onestà morale. Corini si è specchiato in lui. E in Roberto Baggio, «esempio da imitare». E la nazionale? Due volte convocato e all’asciutto. Sacchi contro il Messico lo fa spogliare nel momento in cui si fa male Mancini. Col Trap, la maglia numero otto era pronta… e stavolta è lui ad infortunarsi. Con gli azzurri le strade non si sono mai incontrate. Al contrario del Palermo. Nel Chievo, la prima volta sostituì Di Carlo, la seconda Sannino. Due ex. E con Sorrentino non fu tenero al momento dell’addio, quando il portiere non si presentò all’allenamento da lui diretto. «Ha commesso una caz…», dichiarò Corini che, appena a Punta Raisi, ha aperto la porta della gioia e della speranza che sembrava chiusa per sempre. Alla sua maniera. Da capitano”. Questo quanto si legge sull’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport”.