Coronavirus, il piano della Sicilia: i posti ci sono ma non arrivano i ventilatori da Roma

Secondo quanto riportato da “La Sicilia”, in merito alla questione legata all’eventuale picco, è intervenuto Nello Musumeci, ecco qui di seguito le sue parole: “Abbiamo adottato fin dall’inizio la linea rigore che finora ha pagato, ma sappiamo benissimo che il picco deve arrivare e lo aspettiamo per la metà di aprile”.

Ma più giorni passano e più la Sicilia sembra al sicuro – fatti i debiti scongiuri – da “derive lombarde”. Sia perché la famigerata curva continua a crescere, ma con una lentezza ben lontana dall’impennata tenuta. Sia perché il cosiddetto «piano B» (ma ce n’è anche uno “C”) comincia a prendere forma nella parte più importante. Ovvero: i posti dedicati al Covid-19 negli ospedali. «Nessuno resterà senza un letto», è la convinzione – appena sussurrata – che sta sempre più emergendo nel governo regionale. Incrociando tre elementi: i dai sui contagi, le proiezioni del comitato tecnico-scientifico (basate anche su modelli epidemiologico-statistici già sperimentati al Nord) e la disponibilità, immediata e a breve, di reparti dedicati.

In un documento di 11 pagine (firmato dall’assessore alla Salute, Ruggero Razza, e dal dirigente del dipartimento Pianificazione strategica, Mario La Rocca) si mette nero su bianco lo stato di avanzamento del “Piano di intervento ospedaliero nell’ambito della emergenza Covid-19”. I macrodati sono confermati: è stato «predisposto il fabbisogno regionale» di 2.800 posti di degenza ordinaria (i cosiddetti “Covid Hospital”, più propriamente reparti) e di 605 di terapia intensiva. Nella tabella accanto il dettaglio per ogni singolo ospedale siciliano (compresa la disponibilità in strutture private), con la sostanziale conferma dei dati su base provinciale: 218 posti ad Agrigento (174 di degenza ordinaria e 24 di terapia intensiva); 191 a Caltanissetta (155 e 36); 833 a Catania (692 e 141); 172 a Enna (150 e 22); 561 a Messina (446 e 115); 846 a Palermo (684 e 162); 174 a Ragusa (170 e 40); 224 a Siracusa (194 e 30); 180 a Trapani (145 e 35).

Fin qui i numeri. Nel documento (trasmesso alla commissione Sanità dell’Ars) si precisano alcuni aspetti. Il primo è che il piano «tiene conto, per ragioni di prudenza, di un andamento epidemiologico fortemente “pessimistico”» secondo modelli realizzati dagli esperti che «tuttavia, prevedono allo stato una riduzione dei possibili contagi per effetto delle misure restrittive adottate dal Governo nazionale e da quello regionale». Partendo da questa premessa, viene poi dettagliato il piano della Regione, che «si articola in più step, garantendo la predisposizione del 70% dei posti letto indicati entro il 10 aprile». E i posti del restante 30%? Sono «attivabili entro i dieci giorni successivi», rassicurano dall’assessorato.

Razza e La Rocca, comunque, forniscono un’ulteriore rassicurazione: se «la curva epidemiologica dovesse presentare caratteristiche esponenziali (allo stato non manifestatesi)», le aziende sanitarie e ospedaliere della Sicilia «hanno già ricevuto disposizione di anticipare i tempi pianificati». Il dipartimento tecnico dell’assessorato alle Infrastrutture, inoltre, «ha previsto la progettazione di massima» per «ulteriori ed eventuali strutture aggiuntive». Interventi che «tuttavia non paiono di immediata attivazione per effetto delle valutazioni di natura epidemiologica evidenziate».

I posti ci sono. Ma le rianimazioni sono attrezzate? «Il reperimento delle tecnologie elettromedicali per l’ampliamento delle strutture di terapia intensiva», si legge nel documento, «è in corso di approvvigionamento da parte della Protezione Civile Nazionale, che s’è fatta carico di tutto il fabbisogno nazionale». La Regione le aveva programmate «in un numero del 20% superiore al massimo consentito», ma si aspettano fatti concreti da Roma.
«Si era detto che l’unità di crisi nazionale avrebbe provveduto a trasferire in periferia camici e ventilatori. Abbiamo atteso – ha detto ieri Musumeci – fino a quando arrivassero e sono arrivati con il contagocce». E allora? «Ci siamo attrezzati a cercare i ventilatori noi sul mercato con risultati che sono stato assai deludenti dopo esserci rivolti ad una cinquantina di aziende. Attendiamo risposte anche dall’estero». Un percorso indicato anche nel documento dell’assessorato alla Salute, nel quale si prevede anche un’ipotesi estrema: se la Protezione civile «dovesse ritardare», i macchinari necessari potranno essere reperiti «attraverso l’utilizzazione delle medesime tecnologie presenti nelle sale operatorie non soggette ad utilizzo, per come già sperimentato in Regione Lombardia».

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