«Ci sarà un ridimensionamento generale, giocatori e allenatori guadagneranno la metà». Ancelotti e il calcio del futuro

Carlo Ancelotti, allenatore dell’Everton, ha voluto dire la sua sull’emergenza Coronavirus e ha voluto prevedere come sarà il calcio del futuro dopo la pandemia. L’edizione odierna del “Corriere dello Sport” evidenzia le sue parole. Boris Johnson positivo, Carlo. «Non ci credo. Mamma mia…». A Liverpool sono le tredici, Ancelotti è appena rientrato da una passeggiata. «Breve. È ancora permessa, una al giorno, da soli o con il cane, oppure un giro in bicicletta. Per il momento non c’è bisogno dell’autocertificazione, ma immagino che presto sarà introdotta anche qui come in Italia. In giro si comincia a vedere un po’ di polizia. Le attenzioni maggiori sono per Londra, Liverpool ha grandi spazi, Londra è più compressa. Il Governo sta lavorando con scrupolo, ora, gli inglesi hanno fiducia nell’Nhs, il sistema sanitario nazionale, l’Everton sta facendo tanto in termini di assistenza agli anziani, ai malati, alle persone sole. Noi tutti stiamo vivendo una vita alla quale non eravamo abituati e che ci cambierà profondamente».
Ne sei proprio convinto? «Ne sono certo. Dovremo darci tutti una bella ridimensionata, a cominciare dal calcio».
Lasciami qualche dubbio. «Oggi la priorità è la salute, limitare il contagio. Tutto il resto è secondario. Quando si ricomincia, quando si finisce, le date, le promesse, le speranze… credimi, non m’importa, in questo momento è l’ultimo dei miei pensieri. La Premier ha imposto ai club di dare tre settimane di vacanza a tutti, giocatori, tecnici, staff . L’idea iniziale era quella di ripartire a maggio, ma è fuori discussione che ci si riesca. Sento parlare di taglio degli stipendi, di sospensione dei pagamenti. Mi sembrano soluzioni inattuali, intempestive… Presto cambierà l’economia, e a tutti i livelli, i diritti televisivi varranno di meno, i calciatori e gli allenatori guadagneranno di meno, i biglietti costeranno di meno perché la gente avrà meno soldi. Prepariamoci a una contrazione generale».
Non mi sorprende che tu faccia un discorso del genere. «Ciò che conta adesso è contrastare efficacemente il virus, lo ripeto. Poi, certo, se sarà possibile proseguire la stagione, bene, altrimenti amen. Mi fa ridere chi insiste a fare discorsi sui tempi per la preparazione, c’è addirittura chi parla di tre settimane di allenamento. Son cazzate. È una barzelletta, quello della preparazione è un falso mito. Ricordo che nel 2006, per via di Calciopoli, il Milan uscì inizialmente dai primi quattro posti e quindi dall’Europa, d’un tratto per non far retrocedere la Lazio ci venne tolta una parte della penalizzazione e fummo costretti a fare i preliminari di Champions. Dovetti telefonare ai ragazzi che erano in vacanza perché quattro giorni dopo avremmo dovuto affrontare la Stella Rossa. Cafu rientrò dal Brasile ventiquattr’ore prima e giocò novanta minuti. Se vuoi ti ricordo come andò a finire a maggio. Ma credo che tu lo sappia già».
Campioni d’Europa ad Atene, dove non avrebbero voluto farvi giocare perché eravate stati penalizzati. «Acqua passata, cambiarono le norme. Ricordo anche che sempre nell’estate di Calciopoli stavamo per prendere Ibrahimovic, va bene, va bene, va bene. E quando finalmente Galliani riuscì a convincere Berlusconi, Zlatan si era già messo d’accordo con l’Inter».
Cosa dicevi della preparazione? «Oggi chi ha tre settimane a disposizione? Ne completi una e l’ottavo giorno sei già in volo per gli Stati Uniti o l’Oriente. Ci si allena giocando. L’importante è che, se si fissa una data, quella deve essere uguale per tutti».
Intendi per tutti i campionati? «No. In teoria l’Italia ha una tempistica differente, ho sentito che il picco dovrebbe essere tra poco. In Inghilterra siamo in ritardo di alcuni giorni, in Spagna è davvero un casino».
Qualcuno ipotizza che Liverpool-Atletico Madrid a porte aperte possa aver avuto gli stessi effetti di Atalanta-Valencia. «L’altro giorno ho sentito Klopp, mi ha detto che far giocare la partita in quelle condizioni è stato un atto criminale, penso che avesse ragione».
Abbiamo tutti molto più tempo per pensare. «Stiamo vivendo una vita mai vissuta. I figli che si lamentavano dell’assenza dei genitori sempre al lavoro ora li hanno in casa tutto il giorno, le mogli che non vedevano il marito, e viceversa, sono a stretto contatto dalla mattina alla sera. Al di là dei possibili contraccolpi nervosi e di qualche naturale spiazzamento, trovo che sia una gran bella cosa. Bella e sana».
Tutto sta cambiando troppo rapidamente. «L’altro giorno ho letto che l’acqua della laguna di Venezia non è mai stata così chiara e pulita, anche l’aria è cambiata, uno spettacolo le strade vuote, quanto sarebbe bello se tutto questo non dipendesse dalla pandemia, se il prezzo non fossero migliaia di vite spezzate. Sembra una sorta di ribellione della Terra all’uomo. Se esplode anche internet siamo a cavallo. Fine della schiavitù dello smartphone, si torna ai rapporti personali. L’altro giorno ho letto che Zuckerberg si è detto preoccupato perché la rete sta andando in tilt per via del sovraccarico originato dai social. Ma magari! Lasciatemi coltivare questa illusione. Non c’è nulla di buono
nel virus, soltanto dolore, disperazione, paura, timore per il futuro. Ma se si vuole trovare un lato positivo in tutto questo, beh, il ritorno all’educazione e a una vita di relazioni è quello augurabile».
Qualche giorno fa hai telefonato a un tifoso malato. «Mark, ha 52 anni, ha una malattia del motoneurone». Gli ha detto “chiamami Carlo”.