Caso Reggina, debiti da un milione al mese: Saladini rischia il carcere

Emergono altri retroscena e dettagli sul fallimento della Reggina. L’ex presidente dei calabresi, Felice Saladini, rischia il carcere: a riportarlo è StrettoWeb.com che riporta tutta la ricostruzione della vicenda:

“Oggi arriva l’ennesimo tassello che smonta tutte le frottole raccontate dalla vecchia dirigenza. La Corte d’Appello reggina, infatti, ha accolto il ricorso di Inps, Inail e Agenzia delle Entrate, che si erano opposte alla proposta di accordo presentata dalla Reggina al Tribunale che prevedeva lo stralcio del 95% della mole debitoria della società. Avevano ragione: lo ha deciso la legge. Il 5% era troppo poco, infatti Genova e Sampdoria hanno trovato un accordo con le parti intorno al 35-40% prima di arrivare in Tribunale, e poi solo dopo l’accordo hanno fatto l’omologa. Ecco perchè la loro omologa andrà in porto regolarmente e quella della Reggina no: nessun complotto. Semplicemente loro hanno fatto le cose per bene, a Reggio no.

Nella sentenza della Corte d’Appello emergono chiaramente i numeri del debito della Reggina, certificati dai magistrati: al 30 giugno 2022, cioè all’arrivo di Saladini dopo l’addio di Gallo, la società aveva 16 milioni di euro di debiti maturati dopo quattro anni con una promozione e una pandemia. Poi i debiti certificati ad aprile 2023, quindi dopo appena 10 mesi di gestione Saladini, erano lievitati ad oltre 27 milioni di euro. Saladini, quindi, quello che a Reggio veniva celebrato come un “genio della finanza“, ha fatto 11 milioni di euro di debiti in dieci mesi: oltre un milione al mese. Una voragine incredibile! Le carte sulle condizioni del club parlano infatti di “evidente stato di crisi” e “deterioramento dell’equilibrio finanziario della società“.

Ma l’elemento più grave e anche inquietante che emerge dalla sentenza è che i titoli a garanzia depositati da Saladini in pegno per garantire gli impegni dell’omologa erano falsi. “Il Commissario giudiziale ha riscontrato una difformità tra il codice ISIN riportato nella relazione integrativa dell’attestatore e il codice ISIN riportato nella dichiarazione di veridicità a firma del notaio, dott. Becchetti; il quale ha negato di avere mai sottoscritto la dichiarazione predetta” si legge nel documento. Saladini, quindi, avrebbe utilizzato Titoli di Stato falsi per garantire gli impegni economici nell’omologa. “In relazione a tale aspetto, va disposta la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria“, si legge nella sentenza che quindi prospetta scenari molto gravi per i responsabili: i reati ipotizzati sono molto seri. La nostra giurisprudenza, infatti, prevede che “chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni”.