Capello: «Vlahovic alla Juve? A guardare i conti, gli interrogativi restano»

L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” riporta una lunga intervista a Fabio Capello, il quale si è espresso su vari temi.

Certo che può sembrare inutile il mercato di gennaio a chi non compra. Quanto la stazione a chi non parte mai, nella canzone di Vecchioni. Qualcuno si mette una mano sul cuore e riesce a trovare il portafogli, sospira e spende. Spesso funziona, lasciando da parte per un secondo le analisi finanziarie e le invettive sulla crisi e sul pianto ipocrita del calcio in rovina. Dal punto di vista puramente tecnico, questa sessione sta trasfigurando il campionato. Si rinforza persino l’Inter, a cui era balenata l’illusione di essere perfetta. E arrivano facce nuove, piedi da scoprire. Ma ovviamente il movimento che sposta gli equilibri è quello di Vlahovic, dalla Fiorentina rivelazione alla Juventus in affanno. Partiamo di lì per parlare con Fabio Capello (che tra gli anni da calciatore, le vittorie da allenatore e l’attuale mestiere di opinionista per Sky ne sa parecchio) di che cosa sta succedendo in questi giorni in cui tutto si ferma eppure ogni cosa è in movimento. C’era una Serie A fino a ieri l’altro, adesso ce n’è una differente. La Juventus ha cambiato faccia, dal malumore al ghigno fiducioso. A Firenze sono furibondi, a Milan e Inter ronzano le orecchie, a Napoli tengono un profilo basso: meno li si nota, più si avvicinano. Vediamo un po’.

Capello, adesso che la Juventus ha preso Vlahovic che succede al campionato?
«Succede che una delle quattro squadre in zona Champions ne uscirà e la Juve prenderà il suo posto. Vlahovic secondo me è il giocatore più interessante che si potesse trovare in questo momento. Ha dimostrato di avere tecnica e pesonalità, di saper segnare, di essere completo. Non è uno che sta lì ad aspettare il pallone. Forza, non ci metteremo adesso a elencare le qualità di Vlahovic. Lui fa e farà la differenza».

In quale misura? «Rilevante. Era il giocatore che mancava alla Juve. Dico di più: con Morata che si muove da destra a sinistra e apre spazi, per gli avversari sarà difficile opporsi. Mi sembra che poi la squadra abbia trovato un’identità: sa soffrire, tutti rientrano quando perdono palla, cosa che non succedeva nella prima parte della stagione».

Mancava essenzialmente l’efficacia offensiva. «Mancava un punto di riferimento. Finora l’uomo più presente in area di rigore era una mezzala di nome McKennie».

Il consiglio, dunque, è non rinunciare a Morata. «Per me fanno una bella coppia».

Più di Vlahovic-Dybala? «Dybala ha maggiore qualità, senza dubbio. Probabilmente a lanciare Vlahovic sarebbe anche più bravo di Morata. Però bisogna sempre sperare che stia bene. Il suo punto debole è lì».

Non è che si possano tenere tutti, anche per questioni economiche. «Questo non lo so. Bisognerebbe chiederlo ad Arrivabene».

Suona strano che un club prima invoca la Superlega altrimenti è la rovina e poi tira fuori settanta milioni per prendere il giocatore che rompe gli equilibri. «Non è tanto strano. La Juve deve andare in Champions League. Il sacrificio che hanno fatto adesso serve per qualificarsi. Una volta in Champions, hanno ragionato, le cose si aggiustano».

Nel frattempo continuano a mandare in bestia i tifosi della Fiorentina portando via i loro uomini migliori. «Beh, chiedano a Vlahovic se preferiva restare lì o andare a Torino. Il mercato è questo. Io sono già contento che un giocatore così sia rimasto in Italia. Non ci credevo molto. Evidentemente da noi ci sono ancora o ci sono di nuovo club con l’appeal giusto».

A questo punto, se la Juve va in Champions quasi d’ufficio chi esce?
«Questo dipenderà molto dagli infortuni. In tutte le squadre che stanno lottando per i primi quattro posti ci sono giocatori particolarmente importanti, quelli di cui si sente la mancanza quando restano fuori. E c’è sempre l’incognita del Covid, da cui non si capisce quando verremo fuori. In queste condizioni, un pronostico sensato è impossibile».

Grazie a Vlahovic la Juventus può anche rientrare in corsa per lo scudetto?
«No, il distacco è eccessivo e l’Inter è troppo forte. Secondo me l’unica squadra ancora in grado di competere per il titolo è il Napoli. Se tiene alta la tensione e continua a tenere il ritmo senza buttare via altri punti».

La Juve dunque ha fatto la sua mossa. Come dovrebbero rispondere le altre società di vertice? «L’Inter ha già una rosa solida, strutturata. In società ci sono persone che capiscono di calcio e di mercato. Sanno quali siano le necessità, hanno chiaro lo scopo, cioè mantenersi ad alto livello, e mi pare si stiano muovendo di conseguenza: Gosens, Caicedo. Io penso che l’Inter possa portare avanti almeno un miniciclo di vittorie senza particolari problemi. Centrocampo e difesa sono a posto, in avanti forse ci sono margini di miglioramento».

Sembra però che in cima al calcio italiano si vada avanti a forza di scommesse: la Juve che investe sperando nella qualificazione alla Champions, l’Inter che fa i bond per non perdere competitività. E se poi va male? «Questa è una domanda a cui non è semplice rispondere. In effetti è vero. Parliamo di crisi, di difficoltà di bilancio, di incassi che oggettivamente mancano. Non sono fattori che si possono ignorare. Eppure non si rinuncia agli investimenti. A guardare i conti, gli interrogativi restano».

Speriamo che almeno le proprietà dei club questa risposta la conoscano.
«Già». Il Napoli, dicevamo. Sembra che si stia muovendo con maggiore prudenza rispetto alle avversarie. «Con intelligenza, direi. È a posto, ha un presidente che sa in quale direzione andare. Un esempio positivo».

Quante chance ha di sorprendere l’Inter?
«Dipende più dall’Inter che dal Napoli. Spalletti può solo crescere, una volta recuperati i giocatori della Coppa d’Africa. Osimhen è determinante per i suoi strappi e la fisicità che porta in area. Finora il Napoli non è stato molto fortunato».

Quanto può pesare il distacco da Insigne?
«Da qui alla prossima stagione passa parecchio tempo. Nel frattempo Insigne darà ancora di più per dimostrare il suo attaccamento alla maglia e far capire che se va a Toronto è solo per una questione di soldi. Parlare è facile, ma alla sua età un’offerta come quella che ha ricevuto non si rifiuta. Mi piacerebbe vedere tanti di quelli che lo criticano alle prese con una scelta del genere».

Parliamo dell’Atalanta, che parte male, perde i pezzi ed è sempre lì. «È squadra, è società. Lì stanno attenti a tutto e il meccanismo funziona. Purtroppo è stata bersagliata da questo Covid. Come dicevo, azzardare pronostici al momento è inutile. L’Atalanta ha disputato le ultime due partite ridotta ai minimi termini ed è riuscita comunque a fare punti con Inter e Lazio. Soltanto complimenti a Gasperini e a tutti quanti».

E il giorno in cui Gasperini passerà la mano che cosa accadrà? «Nulla di particolare, ritengo. La società ha ottime basi. Il presidente è un ex giocatore e un grande imprenditore, figura peculiare. Conosco bene Sartori, il direttore tecnico. Hanno saputo tenere Gasperini e prendere i calciatori che lui riteneva adatti. Quando arriverà un altro allenatore dovrà continuare a farli giocare in questo modo. Capire i tuoi uomini e adattare il gioco alle loro caratteristiche, la ricetta sta tutta qui».

La Fiorentina stava andando davvero bene. Senza Vlahovic, che prospettive le restano? «Italiano è riuscito a trasmettere spirito e stile di gioco. Molto bravo, in questo. Vlahovic tuttavia ci metteva del suo. Probabilmente bisognerà giocare in maniera diversa, d’ora in avanti. Mi sembra in ogni caso che il tecnico abbia le idee molto chiare».

Sembra che pure Simone Inzaghi all’Inter le abbia avute chiarissime da subito. «Non mi meraviglia. Allenare per tanti anni la Lazio non è una sciocchezza. Le qualità di Inzaghi erano evidenti da un pezzo. Sa dare un gioco alle sue squadre. Lo abbiamo detto e ridetto: alla base del mestiere c’è la comprensione delle caratteristiche dei calciatori. All’Inter hanno preso attaccanti giusti per l’impostazione che l’allenatore aveva in mente. A centrocampo e in difesa non c’è stato bisogno di rinnovare nulla. Il capolavoro forse è stato portare Perisic a livelli che non aveva mai toccato».