Angelozzi: «Situazione Catania dispiace molto, meglio fallire come il Palermo»

Intervistato da “Telecolor” l’ex rossazzurro Guido Angelozzi, oggi dirigente del Frosinone si è espresso in merito alla situazione del Catania.

Ecco le sue parole:

«Non fa piacere che il Catania soffra a livello societario, non è bello per una città come Catania ma sono problemi che si stanno trascinando da qualche anno. Mi dispiace molto ma bisogna intervenire in qualsiasi modo, nel bene o nel male. Perchè così non si fa altro che fare brutta figura come città e la gente è disperata. Secondo me cedere il Catania è la strada sbagliata. Io due anni fa dissi che l’unica strada fosse il fallimento perchè ho vissuto certe situazioni debitorie come a Bari, so cosa vuol dire e può succedere. Quale imprenditore, quale azienda può comprare il Catania alle condizioni attuali? I soci della Sigi hanno preso il Catania e sono stati coraggiosi. Quando sarebbe dovuto entrare Tacopina, io dissi di fare in fretta e fui criticato ritenendo che non avrebbe preso il Catania. Oggi chi è questo imprenditore che compra una società con tanti debiti? L’80% delle società italiane è in vendita, dalla Serie A alla C. C’è una situazione debitoria pazzesca in Italia. Ora siamo punto e a capo. La gente pensa ancora alla matricola. A Bologna l’hanno persa, come a Bari, Parma e Palermo. Il Catania è vita e lo capisco da catanese, ma in certi momenti bisogna prendere delle decisioni drastiche. Ripartire dalla D non è vergogna. Spero che arrivi un santo e il Catania non fallisca, ma se dovesse fallire penso sia più facile trovare una proprietà seria che si assuma le responsabilità mettendo 5 milioni di euro per portare la squadra in Serie B ripartendo senza debiti. Perchè non sono tornato quando Pulvirenti mi contattò nel 2014? Mi voleva a tutti i costi, ci siamo anche visti un paio di volte. Io però in quel momento preferivo avere carta bianca, c’era Cosentino alla dirigenza e sinceramente quando io vado a lavorare mi sono assunto sempre le mie responsabilità tecniche, al 100%. Non me sentivo di lavorare con un’altra persona».