Repubblica: “Miccoli, il bomber grande e dannato che cadde dal paradiso cercando di essere Maradona”

L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sulla condanna di Fabrizio Miccoli e in un articolo analizza il declino dell’ex capitano del Palermo.
“Una fine ingloriosa della storia palermitana del Miccoli uomo e calciatore: tanto bravo il secondo, tanto discutibile il primo. Tanto capace di regalare gioie ed emozioni il secondo, tanto autore di autogol imperdonabili e di esperienze borderline il primo. Sì, perché Fabrizio Miccoli è tuttora il giocatore che nella storia ha segnato il maggior numero di gol con la maglia del Palermo: un totale di 81 reti (74 di queste in serie A) in 179 partite in rosanero, ma è anche quello che, intercettato in auto nei pressi di via Notarbartolo, definì «un fango» Giovanni Falcone. Due modi di essere nei quali alla fine diventa quasi impossibile scindere il campione da quello che da martedì sera è a tutti gli effetti un pregiudicato. Del resto, i due flash che condensano i sei anni di storia palermitana di Miccoli sono emblematici di questo personaggio bifronte. Quello che quando arrivò, nell’estate del 2007, si affacciò benedicente da un balcone dell’hotel Palace a Mondello mentre sotto c’erano i tifosi che cantavano e saltavano addirittura sui tetti delle auto parcheggiate nel piazzale dell’albergo. Tanto che la direzione dell’hotel chiese poi i danni al Palermo per tettucci e carrozzerie ammaccate.
Sei anni dopo, nel film della storia palermitana dell’attaccante salentino, Miccoli è lo stesso che piangeva e chiedeva scusa in conferenza stampa all’hotel Excelsior, cercando di spiegare le sue ragioni dopo l’ennesimo interrogatorio in procura. Un inizio, una fine, e nel mezzo c’è tutto Miccoli. Quello capace di segnare una tripletta all’Inter a San Siro e quello intercettato insieme a Francesco Guttadauro, nipote del boss Matteo Messina Denaro. Quello che con le sue giocate ha messo in ginocchio il Milan, la Juve e le altre grandi nelle migliori stagioni del calcio palermitano, e quello delle frequentazioni con il figlio del boss della Kalsa Lauricella al quale chiedeva un intervento per la riscossione di un credito di 20mila euro vantato da un amico fisioterapista del Palermo per la gestione di una discoteca a Isola delle Femmine. Uno capace di calciare un rigore decisivo alla Sampdoria pur avendo il crociato rotto e lo stesso finito in un’inchiesta per l’intestazione fittizia di alcuni cellulari.
Insomma, un campione ma anche un personaggio controverso. Uno che non è mai riuscito ad affrancarsi da certe frequentazioni, da certe amicizie che spesso a Palermo hanno attirato personaggi del mondo rosanero in una tela di ragno dalla quale era poi impossibile districarsi. L’elenco di chi è caduto in questa rete è lungo, ma lo è ancora di più — per fortuna — quello di chi maggiormente strutturato di Miccoli ha detto no alle avance dei criminali. Ma Miccoli ha fatto di più: si è completamente identificato in un certo modo di pensare e di agire della parte malsana della città. Un esempio? Il giorno in cui, mentre lui era in campo contro l’Udinese, un gruppo di banditi fece irruzione nella sua casa di via Archimede e rapinò la sua famiglia tenendola sotto la minaccia delle pistole, lui — praticamente ancora in pantaloncini e calzettoni da gioco — salì sullo scooter di un amico e avviò le sue “indagini” private nel quartiere. Grande e dannato, con le dovute proporzioni per il primo e il secondo aggettivo, che hanno avvicinato “Il Pibe del Salento” Miccoli al suo idolo, il “Pibe de oro” Maradona.  Lo stesso Maradona del quale Miccoli acquistò all’incanto — grazie a una signora tarantina che inviò nell’hotel di Merano dove si svolgeva l’asta — per la cifra di 25mila euro l’orecchino che il fisco italiano aveva sequestrato al campione argentino. Maradona che aveva il tatuaggio di Che Guevara, che anche Miccoli volle farsi fare, senza sapere sino in fondo chi fosse il grande rivoluzionario ma solo per emulare il grande Diego. Diego come il secondogenito dell’attaccante pugliese”.